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Tra Oriente e Occidente vi sono mille convergenze; ma …non con le elucubrazioni dei “newagers” contemporanei!

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Fra Oriente e Occidente, molto spesso, vi sono più convergenze di quelle che appaiono in un primo momento, perché gran parte delle divergenze sono frutto, in realtà, di differenze di  linguaggio e di “punti di vista”.

Ad esempio: quando nei Vangeli si parla di Cristo che Ascende ai Cieli -dunque oltre il limite dell’individualità umana- o quando gli Ortodossi parlano di “divinizzazione”, l’analogia di significato con il Paranirvana e con la Liberazione indo-buddhista è lampante.

Su un piano più relativo, ovvero quello dell’anima individuale, quando i Monoteismi parlano di Salvezza, di Paradiso e di Resurrezione, l’analogia con le “rinascite umane superiori”, col Brahma-Loka indù o con la Terra Pura del Buddhismo Amida è altrettanto evidente (ed ecco cosa significa in Oriente l’espressione “Terra” e il “rinascere in Terra”, che non è affatto e solo “questa” terra). Del resto, il simbolismo della “Terra Vera” come equivalente alla condizione paradisiaca, è presente anche nei Vangeli (“Beati i miti che erediteranno la Terra”) e nei Salmi (“La Terra dei Viventi”); o nella stessa fede nella Resurrezione dei Corpi che “abiteranno la Terra”, ma non certo “questa terra” decaduta e transeunte .

Quando, infine, in Occidente si parla di Inferi (inferus=inferiore) e non a caso, simbolicamente, gli Inferi si trovano “sotto-terra” -ovvero al di sotto dello stato umano individuale- l’analogia con le “rinascite” sui piani inferiori (che, molto acutamente ma simbolicamente il Buddhismo esprime come “rinascite animali”) è, a voler vedere le cose con occhio attento, piuttosto chiara. Questo, naturalmente, al netto delle leggende pedagogiche, delle devote esagerazioni e delle iperbole simboliche che esistono in ogni tradizione spirituale.

Se esistono evidenti convergenze tra Oriente e Occidente, tuttavia, non potranno mai esisterne, al contrario, tra Oriente e Occidente da una parte e le variopinte elucubrazioni mentali di tanti “spiritualisti” contemporanei dall’altra, che del resto non sembrano quasi mai capaci di trovare convergenze minime nemmeno fra di loro, dimostrando anche in questo caso …di essere “legione”. Nello spiritualismo e occultismo contemporanei, infatti, l’individualismo egoico, il desiderio di porsi in maniera “originale” (che su un piano di dottrina spirituale è l’atteggiamento più ridicolo che esista) e soprattutto, l’assenza totale d’amore e quindi di fecondo distacco che l’individualismo presuppone, vanificano ogni sforzo, dando origine a quel grottesco carnevale di “egotismi” mascherati di spiritualismo che si riverberano nelle personalità dei mille e mille “maestrini spirituali” che affollano e intasano, con le loro affermazioni e spesso deliri, il babelico mondo della stampa e del web.


Escatologia Universale (di Frithjof Schuon)

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Escatologia Universale – F.Schuon

L’escatologia fa parte della cosmologia, e questa prolunga la metafisica, che s’identifica essenzialmente con la sophia perennis. Ci si può chiedere con quale diritto l’escatologia possa far parte di questa sophia, dal momento che, epistemologicamente parlando, la pura intellezione non sembra rivelare i nostri destini d’oltretomba, mentre ci rivela i principi universali; ma in realtà la conoscenza di tali destini è accessibile grazie alla conoscenza dei principi, o grazie alla loro retta applicazione. Proprio comprendendo infatti la natura profonda della soggettività, e non esclusivamente mediante quella via esteriore che è la Rivelazione , possiamo conoscere l’immortalità dell’anima, poiché dire soggettività totale o centrale – e non parziale e periferica come quella degli animali – equivale a dire capacità d’oggettività, intuizione d’Assoluto e immortalità. E dire che siamo immortali, significa che siamo esistiti prima della nostra nascita umana – giacché ciò che non ha una fine non può avere un inizio – e inoltre che siamo soggetti a cicli; la vita è un ciclo, e pure la nostra esistenza anteriore doveva essere un ciclo in una concatenazione di cicli. Anche la nostra esistenza posteriore può procedere per cicli, cioè vi è condannata se non abbiamo potuto attuare la ragion d’essere dello stato umano che, essendo Centrale, permette appunto di sfuggire al “girotondo delle esistenze”.

Difatti la condizione umana è la porta verso il Paradiso: verso il centro cosmico che, pur facendo parte dell’universo manifestato, è tuttavia posto – in virtù della prossimità magnetica del Sole divino – al di là della rotazione dei mondi e dei destini, e quindi al di là della “trasmigrazione”. Proprio per questo “la nascita umana è difficile da raggiungere”, secondo un testo indù; basta, per convincersene, considerare l’incommensurabilità tra il punto centrale e gli innumeri punti della periferia.

Vi sono anime che, conformi in modo totale o sufficiente alla vocazione umana, entrano direttamente in Paradiso: sono sia i santi, sia i santificati. Nel primo caso sono le grandi anime illuminate dal Sole divino e dispensatrici di raggi benefici; nel secondo caso sono le anime che, non avendo difetti di carattere né tendenze mondane, sono libere  o liberate dai peccati mortali, e santificate dall’azione soprannaturale dei mezzi di grazia di cui esse hanno fatto il loro viatico. Tra i santi e i santificati vi sono senza dubbio possibilità intermedie, ma solo Dio è giudice della loro posizione e del loro stato. Tra i santificati – i salvati per santificazione insieme naturale e soprannaturale – ve ne sono tuttavia di non abbastanza perfetti per poter entrare direttamente in Paradiso; essi attenderanno dunque la loro maturità in un luogo chiamato dai teologi una “prigione onorevole”, ma che, secondo il parere degli Amidisti, è più di questo giacché, dicono, tale luogo è posto nel Paradiso medesimo; essi lo paragonano a un bocciolo di loto dorato, che si apre quando l’anima è matura. Tale condizione corrisponde al “limbo dei padri” (limbus = lembo) della dottrina cattolica: i giusti dell’ Antica Alleanza , in quest’ottica molto particolare, vi si trovavano prima della “discesa agli inferi” di Cristo-Salvatore; concezione innanzi tutto simbolica, e assai semplificatrice, ma perfettamente adeguata quanto al principio, e anche letteralmente vera in casi che non siamo tenuti a definire nel contesto, data la complessità del problema. Dopo il “loto” dobbiamo considerare il “purgatorio” propriamente detto; l’anima fedele alla sua vocazione umana, cioè sincera e perseverante nei suoi doveri morali e spirituali, non può cadere nell’inferno, ma può passare, prima d’accedere al Paradiso, attraverso quello stato intermedio e doloroso chiamato “purgatorio” dalla dottrina cattolica; essa vi deve passare se ha difetti di carattere, o se ha tendenze mondane, o se è gravata di un peccato che non ha potuto compensare col suo atteggiamento morale e spirituale né con la grazia di un mezzo sacramentale. Il “purgatorio”, secondo la dottrina islamica, è un soggiorno temporaneo nell’inferno: Dio salva dal fuoco “chi Egli vuole”, ossia è il solo giudice degli imponderabili della nostra natura; o in altre nata o la nostra sostanza. Se esistono confessioni Cristiane che negano il purgatorio, lo fanno in fondo per la stessa ragione: perché le anime di coloro che non sono dannati, e che ipso facto sono destinati alla salvezza, sono nelle mani di Dio e non riguardano che Lui. Circa il Paradiso, bisogna ragguagliare qui sia sulle sue regioni “orizzontali” che sui suoi gradi “verticali”: le prime corrispondono a settori circolari, e i secondi a cerchi concentrici. Le prime separano i differenti mondi religiosi o confessionali, e i secondi i diversi gradi in ognuno di questi mondi: da un lato il Brahma-Loka degli lndù per esempio, che è un luogo di salvezza come il Cielo dei Cristiani, non coincide tuttavia con questo; e dall’altro, in uno stesso Paradiso, il luogo di Beatitudine dei santi minori o dei  “santificati” non è uguale a quello dei grandi santi. “Vi sono molte dimore nella casa del Padre mio”, senza che vi siano per questo barriere insormontabili tra i diversi gradi, infatti la  “comunione dei santi” fa parte della Beatitudine; e non è più il caso d’ammettere che non vi sia alcuna comunicazione possibile tra i differenti settori religiosi, sul piano esoterico dove essa può avere un significato.

Per quanto concerne l’escatologia in genere, vorremmo fare un’osservazione: è stato spesso fatto notare che né il Confucianesimo né lo Shintoismo ammettono espressamente le idee dell’aldilà e d’immortalità, il che non significa nulla poiché essi hanno il culto degli antenati; se non vi fosse sopravvivenza, questo culto non avrebbe senso, e non vi sarebbe alcuna ragione per un imperatore del Giappone d’andare a informare solennemente le anime degli imperatori defunti di tale o tal’altro avvenimento. E’ del resto noto che una caratteristica delle tradizioni di tipo sciamanico é la parsimonia  – non l’assenza totale – di notizie escatologiche.

Fonte: “Sulle Traccie della religione perenne”, F.Schuon

Post Scriptum:

A scanso di equivoci e per chiarire meglio il pensiero del grande orientalista elvetico, bisogna precisare alcune cose:

1) Frithjof Schuon, parlando della preesistenza dell’essere (non dell’anima individuale) alla nascita umana non intendeva parlare della presunta reincarnazione (ovvero di quella pseudo-dottrina la quale, proprio secondo Schuon, era solo generata dall’incomprensione occidentale per certi passaggi simbolici o di valore parabolico presenti in alcuni testi orientali). Secondo gli autentici testi Vedici, afferma Schuon, le cosiddette “nascite” precedenti o successive andrebbero intese come “rimanifestazioni” dell’essere (non dell’anima individuale) su piani della realtà differenti dal nostro (non certo come successive “nascite umane”;

2) L’anima individuale e personale si forma al momento del concepimento: é questa l’anima che deve essere “salvata”, pena la perdita dello stato umano Centrale (l’immagine di Dio) e il ritorno al “ciclo delle rimanifestazioni”.

3) L’inferno delle tradizioni monoteistiche, secondo Schuon, sarebbe in pratica assimilabile a ciò che nell’Induismo é indicato come la “perdita della Centralità umana”. In sostanza, se l’anima umana “non si salva” ed é quindi destinata all’annientamento nella Gheenna, l’essere spirituale che l’ha generata, tuttavia, sopravvive ed é destinato a “rimanifestarsi” su quei piani inferiori e infernali dell’essere che l’Induismo e il Buddhismo identificano con i lokas più bassi, ovvero i regni degli Asura o demoni.

“La Fabbrica della Manipolazione. Come i poteri forti plasmano le nostre menti”. E’ in libreria!

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Enrica Perucchietti/Gianluca Marletta,

“LA FABBRICA DELLA MANIPOLAZIONE

Come i Poteri Forti plasmano le nostre menti”,

Ed. Arianna, Euro 9, 80

“Alla base della società contemporanea vi è l’utilizzo costante e scientifico di tecniche sempre più sofisticate di manipolazione per plagiare le menti e ottenere il consenso. 

Il controllo si presenta sotto forma di “mode” e tendenze culturali apparentemente spontanee, attraverso cui gli architetti del mondialismo plasmano la mentalità e il pensiero della masse.

Dai primi esperimenti di manipolazione mentale del dopoguerra alla “rivoluzione culturale” degli anni ’60; dalla “nuova morale sessuale” all’ideologia di genere; dalla nascita dell’arte contemporanea alla genesi delle rivoluzioni “democratiche” nei paesi dell’est europeo e del Medio Oriente; dal sorgere della “nuova spiritualità” allo sviluppo dei Fondamentalismi Religiosi, questo saggio ripercorre una “storia altra” dell’età contemporanea, tanto misconosciuta quanto inquietante”.

 

Capitoli e Paragrafi:

 Introduzione

Capitolo 1. Le mani sulla mente: Tecniche di manipolazione di Massa

–          Dalla suggestione mediatica al bi-pensiero

–          L’alienazione dello spettacolo secondo Debord

–          Il potere dell’immaginazione

–          Qualcuno volò sul nido del cuculo

–          Dal controllo mentale alla “shock economy”: le crisi economiche come occasione di manipolazione

–          Aldous Huxley a capo del progetto MK-ULTRA?

–          La mente alveare

Capitolo 2. Rivoluzioni culturali controllate

–          Femminismo e rivoluzione sessuale

–          La “bomba Kinsey”

–          Rivoluzione sessuale e denatalità

–          Ripensare l’(eugen)etica: Peter Singer

–          “Generazione di sconvolti”: quando i Poteri Forti fanno i pusher

–          Massoneria e CIA dietro le ricerche sulla DMT

–          Dalle droghe di strada agli psicofarmaci

–          Cui Prodest? Quali obbiettivi perseguono i manipolatori?

Capitolo 3. Né maschio, né femmina: dall’ideologia gender all’ermafrodito

–          Alta Finanza e Poteri Forti “tifano” gender

–          Alle origini dell’ideologia gender

–          Il caso di David-Brenda Reimer

–          Tecniche di Propaganda

–          La “neolingua” gender

–          Pedofilia: l’ultima frontiera?

–          Dalla “mistica violenza” sulla natura al sogno dell’ermafrodito

Capitolo 4. La fabbrica del Consenso: arte, musica, cinema e media

–          Flower Power e rock psichedelico

–          La teoria del “caos controllato”

–          Icona Gaga

–          Il ciclo dell’eroe

–          Psichiatria e musica: da Lou Reed a Lauryin Hill

–          Metropolis

–          Quando le star si mobilitano

–          I principio erano i messaggi subliminali

–          Poi venne la propaganda

–          Il quarto potere …della moda

–          E la CIA inventò l’arte contemporanea

–          Infine, la strumentalizzazione dei Servizi Segreti

Capitolo 5. Manipolazione sui banchi di scuola

–          Esercizio n.1: “La storia è una sciocchezza”

–          Esercizio n.2: “Ricorda che sei una scimmia”

–          Esercizio n.3: “Ripasso generale di politicamente corretto: dall’UE al gender”

Capitolo 6. Come distruggere le religioni

–          La crisi del Cattolicesimo

–          I Vangeli? Sono vecchi e “antisemiti”!

–          Cattolici da ONU: dal Regno di Dio al Nuovo Ordine Mondiale

–          La Russia ortodossa sfida l’Occidente mondialista

–          Parla l’avvocato che ha presenziato all’80% dei processi per “terrorismo islamico” in Italia

–          L’Emmanuel Goldstein del XXI secolo

–          Il nuovo Islam “made in USA”

–          La “spiritualità” del “mondo nuovo”

–          Se al posto di Dio metto gli extraterrestri: l’ultima religione?

Capitolo 7. L’ultimo uomo

–          L’evoluzione dell’Umanesimo

–          Cyberpunk a Hollywood: da Tron ad Avatar

–          Cyberpunk e tecno-paganesimo

–          Tutti connessi con un Tweet. Anche i Servizi…

–          “Sappiamo dove siete”. Parola di Google-Berg

–          Prometeus: il futuro è digitale

–          L’inventore di Java attacca il trans umanesimo

–          L’uomo è Dio

–          Il prezzo della “felicità”

Quando la CIA e i Rockefeller inventarono l’arte contemporanea

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Modern art was CIA “weapon” (L’Arte Moderna è stata un’arma della CIA). Anche i giornali britannici e americani, oramai, lo affermano senza mezzi termini. I fondi per “sponsorizzare” artisti come Pollock e istituzioni come il MOMA vennero dai servizi segreti e dalla Fondazione Rockefeller. Lo scopo dichiarato? Vincere la “guerra fredda” anche sul piano dell’estetica e …manipolare il gusto delle masse!

Da E.Perucchietti/G.Marletta, La fabbrica della manipolazione, Ed. Arianna, pp. 131-134:

“L’arte si è spesso “accompagnata” alla moda. Andy Warhol ha reso celebre la modella e poi sua attrice feticcio Edie Sedwick, l’icona degli anni ’60, consumata dall’anoressia nervosa che si spense a soli 28 anni per un’overdose di barbiturici.

Figura dominante all’interno della Pop Art, Warhol ha capeggiato la sperimentazione di una nuova forma di avanguardia “democratica”, tramite i mezzi di comunicazione di quegli anni, musica, cinema e pubblicità.

Warhol rappresentò anche la figura di riferimento per giovani artisti, quali Jean-Michel Basquiat, che aiutò a sfondare nel mondo dell’arte quale rappresentante emergente del graffitismo. Basquiat, definito il “James Dean dell’arte”, e il più noto Keith Haring sarebbero morti però giovanissimi, il primo per overdose di eroina e il secondo di AIDS.

La Pop Art e il graffitismo ereditavano l’entusiasmo degli anni precedenti per l’astrattismo, di cui Jackson Pollock e Mark Rothko sono stati alcuni tra i maggiori rappresentanti americani. Le implicazioni filosofiche e psicologiche dell’astrattismo, l’estetica primitivistica interpretabile come rappresentazione dell’inconscio avevano convogliato l’attenzione degli appassionati di arte verso questo nuovo genere. I paralleli con l’arte dei nativi americani e con la psichedelia non potevano che continuare a trovare largo consenso negli anni del flower power.

Fece decisamente scalpore, nell’ormai lontano 1995, un articolo pubblicato dal quotidiano britannico «The Independent», in cui per la prima volta veniva pubblicamente riconosciuto il contributo avuto dalla CIA nella promozione dell’arte moderna (soprattutto nelle sue forme più estreme di astrattismo). L’articolo, dal significativo titolo Modern art was CIA “weapon”[1] (L’Arte Moderna è stata un’arma della CIA), mette nero su bianco quello che, per decenni, sembrava essere solo un’illazione che circolava negli ambienti artistici.

La vicenda, a tratti davvero sconcertante, merita di essere ricostruita nelle sue fasi salienti.

Scrive «The Indipendent»:

«Per decenni nei circoli d’arte era stata considerata una voce o uno scherzo, ma ora arriva la conferma. La Central Intelligence Agency ha utilizzato arte moderna americana – comprese le opere di artisti come Jackson Pollock, Robert Motherwell, Willem de Kooning e Mark Rothko – come arma nella guerra fredda. Alla maniera di un principe del Rinascimento – tranne che per il fatto di aver agito in segreto – la CIA ha favorito e promosso l’arte astratta americana e la pittura espressionista in tutto il mondo per più di 20 anni».

Il sostegno sarebbe arrivato attraverso una serie di “finanziamenti occulti” alla rivista artistica «Encounter», al circolo Congress for Cultural Freedom e soprattutto attraverso l’organizzazione di enormi mostre d’arte itineranti fra Europa e Stati Uniti, come “The New American Painting” (che tra 1958 e 1959 espone in quasi tutte le grandi città europee), “Modern Art in United States of America” (1955) e “Masterpieses of XX Century” (1952). I fondi sarebbero venuti in gran parte dalla persona di Nelson Rockefeller, direttore del M.O.M.A (Museum of Modern Art di New York, anch’esso fondato dai Rockefeller). Il M.O.M.A. dei Rockefeller, peraltro, sarebbe stato fin da subito un vero e proprio “feudo della CIA”, secondo le rivelazioni contenute nell’articolo dell’«Independent»:

«Il museo è stato anche legato alla CIA attraverso molti canali. William Paley, il presidente di CBS e uno dei padri fondatori della CIA, sedette fra i membri responsabili del programma internazionale del museo. John Hay Whitney, che aveva servito in guerra tra le file dell’agenzia, l’OSS, è stato suo presidente. E Tom Braden, primo capo della Divisione Organizzazioni Internazionale della CIA, è stato segretario esecutivo del museo nel 1949».

Proprio da Tom Braden sono arrivate le “rivelazioni” pubblicate dall’«Independent». Secondo tale versione, peraltro, gli artisti supportati da questa imponente “macchina da guerra” erano (e sarebbero dovuti rimanere) del tutto all’oscuro di tali manovre, anche perché il mondo dell’arte moderna americana era spesso costituito da filo-comunisti e personaggi “anti-sistema” che avrebbero gradito poco una collaborazione diretta coi servizi segreti. Con essi, pertanto, la CIA avrebbe mantenuto una particolare strategia detta del “guinzaglio lungo”, controllando e promuovendo l’opera di questi autori ma …senza palesare in alcun modo la sua presenza.

Ma per quale motivo la CIA e i Poteri Forti avrebbero impiegato soldi e tempo per foraggiare l’arte moderna? La spiegazione “ufficiale” è che nell’astrattismo si sarebbe visto un contraltare al “rigore” formale del realismo sovietico di quegli anni: si sarebbe, quindi, voluto dimostrare al mondo “l’apertura” e la “larghezza di vedute” della civiltà americana, rispetto al formalismo dell’arte russa.

E tuttavia, questo tipo di spiegazione non appare del tutto soddisfacente, specie considerando che, negli stessi anni, la CIA e i poteri ad essa collegati erano contemporaneamente impegnati in altre forme di “mecenatismo culturale”, finanziando e supportando altrettanto occultamente il nascente movimento femminista, la cultura dell’LSD, la rivoluzione sessuale e, qualche decennio dopo, l’Ideologia Gender.

Più che la Russia e o paesi del blocco orientale, in effetti, la ricaduta di questa ennesima “rivoluzione culturale controllata” sembra aver riguardato essenzialmente le società occidentali, il cui gusto estetico verrà totalmente trasformato nel giro di pochi anni. Basti pensare, ad esempio, che ancora negli anni ’50, il presidente americano Truman in visita ad una mostra d’arte moderna poteva esclamare sconcertato la famosa frase: «Se questa è arte, io sono un ottentotto!».

Ma a dispetto del Presidente, il nuovo “gusto americano” si sarebbe di lì a poco diffuso in tutto il mondo, veicolando con esso anche quel senso di caotico e quella negazione della “forma” che sembra essere un vero e proprio “marchio di fabbrica” di tutte le manifestazione del “costume” occidentale contemporaneo. Di lì a poco, infatti, il nuovo astrattismo avrebbe riempito delle sue creazioni le gallerie, i musei e soprattutto l’immaginario “visivo” dell’uomo occidentale, sostituendo persino nei luoghi di culto i “vecchi” modelli di Giotto o di Caravaggio, di Michelangelo o del Beato Angelico, con la nuova “spontaneità” e “l’estro” dei maestri della non-forma.

Una “rivoluzione” senza precedenti, pertanto, e di cui oggi conosciamo finalmente anche i risvolti per molto tempo rimasti “segreti””.

Un libro terribilmente vero: “Le Origini occulte della musica”

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Oltre i luoghi comuni del complottismo metropolitano, “Le origini occulte della musica” é un’indagine storicamente ineccepibile su quel lato “oscuro” e “inquietante” dello scintillante mondo della produzione musicale moderne, che risulta ancor più inquietante in quanto documentato puntualmente dall’autrice…

Se siete appassionati di bizzarre quanto indimostrabili “rivelazioni” su rettiliani e razze più o meno aliene che controllerebbero il pianeta, o se preferite il genere “caccia alle streghe” condito con pruriginosi giudizi di taglio moralistico, questo non é un libro per voi!

“Le origini occulte della musica”, infatti, é innanzitutto un testo di carattere storico e giornalistico terribilmente inoppugnabile, dove ben poco é lasciato al giudizio individuale e molto (quasi tutto) all’analisi delle fonti. Lo scenario che ne emerge, tuttavia, é -proprio per questo- ben più inquietante di qualsivoglia pseudo-saggio condito di fantasie morbose, ma é la descrizione puntuale di un periodo storico (soprattutto i “favolosi” anni 60-70) che hanno cambiato radicalmente la nostra percezione della realtà, della vita, della religione, del senso dell’esistenza.

Un periodo storico che, ripulito finalmente dalle ricostruzioni encomiastiche post-sessantottine, emerge adesso in tutti i suoi retroscena oscuri: quelli di un mondo dove magia e occulto, droga e dissoluzione si legano indissolubilmente in uno scenario sul quale tanti (troppi) poteri forti sembrano aver agito a piacimento, manipolando il sentire comune verso obiettivi che sfuggevano (e forse sfuggono ancora) alla massa dei “profani”.

“Le origini occulte della musica”, beninteso, non é un testo di “complottismo”: l’autrice, infatti, non si abbandona a supposizioni indimostrabili, ma fa parlare la realtà. Una realtà grottesca e sinistra che pure dobbiamo imparare a conoscere se desideriamo comprendere il nostro mondo e ciò che siamo diventati.

Gli EBREI rispondono a BIGLINO

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Ormai da anni, migliaia di persone sostengono con entusiasmo le ipotesi del Sig. Mauro Biglino, che nei suoi libri, a partire da (lui afferma) accurate traduzioni dall’ebraico, ci assicura che la Bibbia non parlerebbe né di Dio né di questioni religiose, ma sarebbe il resoconto di antiche visite di “extraterrestri”. Ma cosa ne pensano gli Ebrei di madrelingua delle sue traduzioni e, soprattutto, delle sue interpretazioni di termini come Elohim, Kavod, Ruach?

Qui di seguito, alcuni interessanti passaggi tratti dal forum ebraico:

http://consulenzaebraica.forumfree.it/

Molto ragionevolmente, gli autori del forum invitano  “le persone che ascoltano e leggono Biglino di non ragionare con la sua testa, ma di ragionare con la loro testa e di porgli delle domande. La Bibbia non dice quello che lui vuol far credere. Noi siamo a disposizione in questo forum per ogni genere di consulenza”.

Uno dei chiodi fissi dell’ipotesi di Biglino è il termine biblico Elohim (che è un plurale), spesso utilizzato per indicare la Divinità.  La sua ipotesi è che nella Bibbia non vi sia alcun “monoteismo” e che gli “elohim” null’altro sarebbero che una popolazione di colonizzatori alieni . Vediamo cosa ne pensano gli Ebrei di madrelingua:

–  Il prof può far dire quello che gli piace al primo verso di Genesi se estrapolato dal suo contesto, ma poi… della grammatica che se ne fa? Il primo termine “בראשית” significa “nel principio di” e non semplicemente “nel principio”, questo termine si attacca sempre al successivo. Quindi abbiamo ” nel principio di creare” con “ברא” vocalizzato all’infinito. Il professore ha poi detto che il testo parli di Elohim al plurale. Una cosa che desta non poca meraviglia che un professore di ebraico non sappia distinguere un semplice plurale da un plurale di astrazione, che è un singolare a tutti gli effetti. I verbi ad esso collegati sono infatti singolari ed “Elohim” non ha l’articolo determinativo ed è quindi un nome proprio essendo i nomi propri autodeterminati. Il singolare è “Eloha” di radice “alah”=comporre norme giuridiche. Quindi significa “Legislatore” che con il plurale di astrazione (“Elohim) diviene: Legislatore Supremo.
Il termine “shemim” di cui parla il prof. non esiste, il termine rimane “shammaim” anch’esso plurale di astrazione, che significa “Cielo”. Il termine “
רקיע” è di radice “רקע” da cui deriva anche il termine “קרקע” che significa “suolo”.
Il professore dice che le sue deduzioni provengono dalla Bibbia, ma a me pare che sono solo frutto della sua fantasia o qualcos’altro. (…) Ma questo professore ha davvero tradotto la Bibbia delle edizioni paoline come egli stesso dichiara? Se tutti i traduttori sono come lui…

Nei suoi libri, il Sig. Biglino sostiene che l’abitudine di bruciare i sacrifici, nella Bibbia, rimanderebbe all’esigenza di “compiacere” gli alieni elohim con un “profumo riposante” che farebbe ricordare loro la patria. Vediamo cosa ne pensano gli Ebrei di tale interpretazione:

– L’annusare l’odore “riposante” (nichoach è intraducibile in italiano, più precisamente “l’odore del riposo”) nell’ebraico biblico è l’accettazione del riscatto per le trasgressioni involontarie; quando le trasgressioni divenivano volontarie o premeditate vi era il rifiuto totale di annusare quell’odore . Vedasi per esempio Levitico 26:31 (velo ‘ariach bereach nicoichakhem). Nichoach non è un aggettivo, è un sostantivo che indica il riposare della cenere, ovvero il ritorno alla polvere in un simbolismo che serve per ricordare la natura umana fatta di corpo materiale e composto di microelementi. La riduzione in cenere è una simulazione del ritorno in polvere ossia lo stato primordiale degli esseri viventi e quello post-morte.

– L’atto dell’annusare toglie a D-o ogni materialità. Egli infatti non mangia le offerte, ma semplicemente li annusa, dato che bruciandoli viene loro tolta ogni materialità. Dato che vi sono passi biblici ove si mostra il rifiuto di annusare si tratta chiaramente di una metafora che vuole esprimere l’accettazione od il rifiuto dell’offerta. L’offerta viene accettata se la trasgressione è involontaria perché le trasgressioni involontarie sono la causa della degradazione del corpo umano materiale privo della sufficiente attenzione e adeguata saggezza. Il sacrificio animale aveva lo scopo di ricordare che il corpo umano e quello animale sono fatti dagli stessi elementi ed hanno le medesime attitudini, gli stessi istinti che però si distinguono da una vera volontà rappresentata dalla ragione, che è una caratteristica esclusiva dell’uomo.
Il divenire spirito dopo la morte deriva proprio da questa concezione antica del ritorno alla polvere assimilata al vento che la porta via. In ebraico infatti vento e spirito sono espressi con il medesimo termine ruach da cui deriva reach. Il reach nichoach è il vento che sale con la cenere che successivamente si riposa, ossia torna allo stato di non vita e provoca soddisfazione nella divinità perché così facendo gli umani mostrano la buona volontà di intraprendere un cammino verso la perfezione ove si predilige la ragione agli istinti animali.

Un altro “pezzo forte” dell’ipotesi bigliniana è l’interpretazione dell’ebraico Ruach (spirito) come “rombo” o “soffio” dei motori dellastronave aliena che porterebbe gli “elohim” sulla terra. Stiamo a vedere cosa ne pensano persone che l’ebraico lo parlano:

– Nel libro “Il dio alieno della bibbia” a pag.37 abbiamo l’inizio del capitolo 2 intitolato in ebraico רוח (ruach) e in italiano: Lo “spirito”? Sono rimasto molto sorpreso nel leggere certe affermazioni di Biglino considerando che egli si identifica come un traduttore della Bibbia e dunque come chi la Bibbia dovrebbe conoscerla bene. Egli afferma che il termine ruach oltre ai normali significati di vento, respiro e aria in movimento indichi anche, in senso estensivo, “ciò che viaggia rapidamente nello spazio aereo”.
Non c’è alcuna espressione biblica in cui è usato il termine ruach per designare un oggetto che viaggia rapidamente. Ma la cosa che più sorprende è che egli afferma che il termine ruach avrebbe acquistato il senso di “spirito” solo dopo il III secolo a.C. con la versione della LXX. Un senso, egli afferma, che probabilmente in origine non gli apparteneva.
Nella Bibbia sono presenti tante espressioni in cui è usato il termine ruach per designare gli stati d’animo dell’uomo ed in modo figurativo questo termine è usato per indicare la forza vitale che fa vivere in particolare gli esseri umani. Sono tutti usi in cui questo temine acquista significati astratti perfettamente riconducibili al senso di “spirito” inteso nel mondo occidentale.
(…) Riportiamo alcuni versi biblici ove il termine ruach è chiaramente usato in tal senso nel testo ebraico della Bibbia:
In Esodo 28:3 abbiamo:”
רוח חכמה” (ruach chokhmà=spirito di saggezza)
In Gen 41:38
הנמצא כזה–איש, אשר רוח אלהים בו (hanimzà kazhe–ish asher ruac elohim bo=c’è qualcuno come questo che abbia ruach Elohim in lui)
Num 27:18
איש, אשר-רוח בו (ish asher ruach bo= Individuo nel quale lo spirito è in lui)
In Ecl 12:7 è usata una forma figurativa per designare la morte, lo spirito, inteso qui come forza vitale (o il respiro della vita) torna a D’o che l’ha dato:
והרוח תשוב, אל-האלהים אשר נתנה (weha ruach tashuv el haElohim)
בידך, אפקיד רוחי (beyadechà afkid ruchì=nelle tue mani affido il mio spirito) salmo 31.6
Prov 16:32
טוב ארך אפים, מגבור; ומשל ברוחו, מלכד עיר. Trad. Nuova Diodati: Chi è lento all’ira val più di un forte guerriero, e chi domina il suo spirito val più di chi espugna una città. Trad. Riveduta: Chi è lento all’ira val più del prode guerriero; chi padroneggia se stesso val più di chi espugna città.
Salmo 34:19 karov h lenishberè lev weet dakè-ruach yoshi’a trad. Riveduta: 34:18 L’Eterno è vicino a quelli che hanno il cuor rotto, e salva quelli che hanno lo spirito contrito.
Gioele 3:1
אשפוך את-רוחי על-כל-בשר (eshpokh et ruchì ‘al col basar) Trad. CEI: io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo
1 re 21.5
מה-זה רוחך סרה (ma zhe ruchacha sarah=che è, il tuo spirito se ne andato? )

Ancora sul significato di Elohim:

– Afferma Biglino quanto segue: “Ma tutte le parole che circondano elohim sono al plurale”.
Caro Biglino, qui è il caso di precisare numericamente che: Su 2600 ricorrenze del termine elohim, solo circa un centinaio ha parole al plurale Finora ho sperato che Biglino potesse essere in buonafede, ma a questo punto riesce davvero difficile credere che non sia in Malafede.

http://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=63890174

Biglino nel suo Il libro che cambierà per sempre le vostre idee sulla Bibbia, ed. 2012, riporta addirittura un’immagine, a suo dire ritrovata in Sudan, che rappresenterebbe un’astronave aliena (la riportiamo a lato come presente sul libro di Biglino n.d.a.):
A tal proposito, scrive un commentatore del forum:

– Biglino scrive: «2150 a.C. Nel Medio Regno egizio (2160-1785 a.C.) viene edificato in Nubia (Sudan) il tempio minerario di Kush, che contiene una raffigurazione di una probabile navicella in volo e quella di un missile a terra con due individui rappresentati di fronte e non vestiti come gli Egizi (paiono avere un abito composto da un solo elemento che ricopre tutto il corpo). Si tratta di una immagine molto discussa che è stata comunque riprodotta nel lavoro precedente». – pp 227-228
Avevo chiesto a Biglino come mai avesso deciso di pubblicare quell’immagine visto che è evidente che era una bufala, egli mi ha risposto: «L’illustrazione da lei citata è riportata in varie pubblicazione e da molti ritenuta vera: in ogni caso nel libro non la accredito, la pubblico citando una delle fonti.»
Ma perché citare una fonte per poi non accreditarla? E’ ovvio che a Biglino non interessa l’affidabilità delle fonti l’importante è che esse tiranno acqua al suo mulino.

Secondo Biglino, il termine “Kavod” (la gloria di Dio), rimanderebbe al concetto di “pesantezza” e quindi, concretamente, al “peso dell’ingombrante astronave aliena che avrebbe portato gli alieni sulla terra; ma Kavod, secondo gli Ebrei del forum, significherebbe tutt’altro:

– Kavod : onore, gloria: “Col Hakavod” espressione usata per complimentarsi con qualcuno per il buon effetto e riuscita di una azione.
Kaved: , pesante,  non ha la “vav”, come non hanno la vav:
Koved peso
kaved: fegato
sempre stessa radice di Kaved
E’ chiaro che da una radice KVD si sviluppino differenti vocalizzazioni e quindi diversi significati. Questo è un fenomeno costante dell’ebraico. (…) Biglino fa disquisizioni erudite sull’acqua calda. Se già dice K’vod (kevod) e non kavod vuol dire che non si rende conto della forma costrutta che è la modifica vocalica che il sostantivo subisce quando precede un altro sostantivo di cui precisa qualcosa. “Kevod ****” la gloria di D-O, mentre il sostantivo in assoluto è “Kavod”. Troppo comodo parlare a platee digiune e scrivere solo in blog dove non lo si può contestare. Vedremo che qualità ha e come parla e risponde alle domande di ebraico e in ebraico. Noi non contestiamo le sue teorie su alieni, marziani, veicoli spaziali ecc. Tutte le idee sono legittime. Ma dica che sono sue idee e basta. Non pretenda di dire che Ruah è un veicolo e Elohim è una moltitudine di divinità. Questo o è in malafede e quindi strumentale e finalizzato all’editoria o è ignoranza crassa in lingua ebraica.

http://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=63894022

Chi volesse leggere le discussioni nella loro interezza, può cliccare su i link che abbiamo riportato nel testo. Chi volesse approfondire o chiedere delucidazioni maggiori può sempre utilizzare i contatti del forum.

Lo straordinario simbolismo del Presepe Napoletano (di Luca Zolli)

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 Le 72 Figure Fondamentali del Presepe Napoletano rappresentano, molto più che una semplice tradizione “popolare”, una sapiente sintesi della realtà; uno straordinario Labirinto di Simboli dal sorprendente valore teologico, spirituale e iniziatico il cui significato rimanda al cammino di Realizzazione Spirituale dell’uomo. Pubblichiamo qui di seguito l’affascinante studio dell’amico Luca Zolli: lavoro unico per chiarezza e completezza.

Luca Zolli, nato a Benevento il 26 agosto del 1971, cristiano ortodosso, sposato, con un figlio, vive di agricoltura. Si è laureato in Scienze Agrarie e coltiva dalla fine degli anni ’80 lo studio dei Padri della Chiesa e gli studi tradizionali.  Parla numerose lingue, tra cui:  italiano, rumeno, inglese, francese e in fase di studio greco moderno.

“Il simbolismo del presepe napoletano”

Vi sono almeno 72 elementi fondamentali del presepe popolare napoletano. Tutta la rappresentazione è misterica e vi sono due aspetti fondamentali a sottolinearlo: il tempo sospeso e l’ambientazione notturna. Nel canto “Quann’ nascette Ninno “, attribuito ad  Alfonso Maria de’ Liguori, si ritrovano moltissimi elementi misterici, immersi in una pietà davvero commovente. L’incipit, appunto, è : “[…] Quando nacque il Bambino a Betlemme, era notte e pareva mezzogiorno […]”. Circa, invece, il tempo sospeso, nel Vangelo apocrifo di Giacomo, si legge: “Ora io Giuseppe, camminavo e non camminavo e sollevai gli occhi alla volta del cielo e vidi che era senza moto … vidi delle pecore che andavano al pascolo e le pecore rimanevano immobili … E volsi gli occhi alla corrente del fiume e vidi che non scorreva più …”. http://www.reginamundi.info/icone/nativita-hd.jpg. In realtà, gli elementi dovrebbero essere Novanta –ed è singolare e interessante la corrispondenza numerologica con la Smorfia napoletana. Non tenterò una cosa del genere qui, ma lo farò magari in un altro studio, limitandomi per adesso alle 72 figure fondamentali.

  – Il primo elemento essenziale del presepe è la struttura stessa che prevede uno “Scoglio”, costituita da sughero il cui colore “Scuro”, colore che è già segno di un aspetto notturno, legato ai misteri. Il “mons” del presepe, da una parte  è anche la “mens” dell’uomo, che affronta un viaggio nella sua interiorità: questo viaggio sarà palese in due figure cardine, che poi sono due aspetti di un unico personaggio: il pellegrino e cioè Benino e L’uomo delle Meraviglie. Dall’altra il “Mons” è la Genitrice di Dio stessa: “boscoso monte adombrato”, Colei che per prima “[…] entra nei penetrali, apprende i misteri e si prepara a diventare amabile e splendido tabernacolo di Gesù, che elargisce al mondo la grande misericordia […]” “[…] Lampada dalle molte luci […]” ; “[…] la bellezza della tua anima, o tutta immacolata, Zaccaria con fede esclamava: Tu sei riscatto, tu sei la gioia di tutti, tu sei il nostro ritorno dall’esilio, tu per cui l’incircoscrivibile si mostrerà a me circoscritto […]” . http://www.chiesasanbenedetto.it/public/FCKeditor/files/Image/IMG_2353.jpg  .“[…] Subito si svegliarono gli uccelli , cantando in una forma tutta nuova […] Nonostante fosse inverno, Bambino bello, spuntarono migliaia di rose e di fiori. Come il fieno secco e tosto, che fu posto sotto di Te, s’ingemmò [ s’infigliulett’ ] , e di fronde di fiori si rivestì. In un paese che si chiama Engaddi [ le vigne di Engaddi del Cantico e riferimento, ancora, alla Sposa del Cantico, cioè ancora  la Vergine: la Terra più lucente del sole …] , fiorirono le vigne e spuntò l’uva. […] Si rivoltò insomma tutto il Mondo […] Non vi spaventate, no! C’è felicità e riso: la terra è divenuta Paradiso […]http://www.youtube.com/watch?v=cW0h4UucGTI#t=27

  – Il secondo elemento essenziale del presepe è il cielo stellato. Tale elemento deve evocare  una certa corrispondenza – evidente nell’icona della Natività –  con la stella: “[…] Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: […] i cieli, la stella […] “ , con la grotta della Natività, e questa la crea la posizione stessa della stella e, soprattutto, con la Vergine:”[…] Costei è celeste dimora […]”: per l’Umanità di Cristo, infatti, la Vergine è sia Cielo che Terra, tutta l’Umanità di Cristo, proviene dalla Vergine. Ancora il cielo evoca il viaggio, il percorso “misterico” in ciò che era “celato”.

– Il terzo elemento è il primo personaggio umano del presepe: Benino, nella tradizione napoletana raffigurato come dormiente. “[…] Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai […]”. Si impone una considerazione: non è vero che “il personaggio che dorme lontano dalla grotta in un “pagliaio”- che evoca, nella tradizione liturgica ortodossa,  vedremo come, il deserto –  Benino e che non si risveglia al mormorio dei pastori, dalle voci che si rincorrono, all’annuncio degli angeli, rappresenti” semplicemente “l’umanità indifferente al messaggio, che viene dalla grotta, che non si accorge della salvezza che porterà quel bambino. La spiegazione è più profonda: è l’uomo che nella sua interiorità intraprende il viaggio nel presepe, che significa incamminarsi per una via “misterica” e compiere una “discesa” verso un mondo pieno di significati arcani e misteriosi. Infatti”Il presepe di fattura popolare[…] è strutturato […] come un paesaggio con tante stradine e viottoli in discesa, che portano al punto più basso, quello centrale, dove è posta la grotta divina.”(De Simone). Questa figura del presepe ha una particolare corrispondenza con l’ icona dell’ Anapesson, il cui culto è sopravvissuto nell’ambito della Chiesa ortodossa. Si tratta di  una rappresentazione di Gesù bambino reclinato sul fianco destro e come addormentato, ma con gli occhi aperti. E’ talvolta fiancheggiato da due angeli in preghiera o recanti gli strumenti della passione, che sono presenti nel presepe popolare napoletano,  in modo nascosto, vedremo come e dove. È una prefigurazione della Passione: si ispira a Genesi 48:9 (“Giuda è un cucciolo di leone…”) e ricorda le considerazioni di alcuni bestiari medioevali sul leone, notoriamente simbolo del Messia,  secondo i quali “il leone dorme con gli occhi aperti e, uscito dal ventre materno morto, viene portato alla vita dal padre in tre giorni”. Dalla figura di Benino in poi il percorso del Presepe si fa “labirintico”[…] Rileviamo, allora, che la significante onirica dei novanta numeri [della Smorfia napoletana] coincidono con gli elementi e coi personaggi presepiali […] ma i medesimi segni ricorrono anche nel gioco dell’Oca; essi, inseriti nelle caselle di un percorso labirintico a spirale, assumono carattere positivo o negativo e quindi, agevolano o penalizzano il giocatore. Una lettura attenta e comparata di tali segni consente di chiarire meglio le valenze significative degli elementi presepiali […] , per cui, relativamente alla cabala napoletana, ritroviamo il pozzo (67), la fontana(76), il ponte(68), il mulino(15)[…] la Morte (5) […]”

  1.   – Il quarto elemento è il Mulino, che si trova, assieme a Benino e al castello di Erode su uno stesso livello: quello più alto dello Scoglio. Il Mulino ha una doppia valenza: è un riferimento al tempo e alla morte, nella smorfia napoletana, infatti i significati del mulino (15) contengono anche quello  della Morte (5) . La farina e poi il Mugnaio – altro personaggio che vedremo poi – sono anch’essi riferimenti alla morte e così anche il bianco, il candore della neve nel presepe richiamano la morte e il mondo dei defunti. Le pale del mulino rappresentano innanzitutto la Croce e poi il tempo, che come detto, nel Presepe appare sospeso. “Si è fermato il tempo” o meglio si è entrati in un’altra dimensione del tempo nel momento della Natività divina, nel momento in cui l’eternità interseca il tempo e il Pastore lasciando le 99 pecorelle, i 99 mondi, sul Monte, “ piega i cieli e discende “ a recuperare la pecorella smarrita: l’Uomo. Questa dimensione del tempo è  descritta, nel modo che ho riportato sopra,  dal passo del Vangelo apocrifo di Giacomo che ho citato . De Simone legge giustamente  alcuni riti natalizi, tendenti ad annullare il tempo, alla luce di questo tempo sospeso, che dall’8 dicembre al 6 gennaio fluisce, addirittura, al contrario:” […] si può intravedere qualche traccia, ormai sbiadita, nell’usanza di tagliare a pezzi il capitone o l’anguilla e nel consumo dei tipici struffoli o del sesamiello [susamielli] (dalla caratteristica forma serpentina): una sorta, insomma, di rottura simbolica del tempo […] consumato e […] cancellato” ( pag.6 ibidem). Questa spiegazione si deve approfondire alla luce del complesso simbolismo del serpente e del periodo dell’anno che corrisponde ad una particolare congiuntura nella quale il tempo sembra “scorrere al contrario” e che si ritroverà nella figura del Venditore della ricotta! Nell’Ortodossia un simile fenomeno è proprio collegato (Florenskij) alla visione delle icone e tutto il simbolismo iconografico del presepe si riallaccia, come vediamo e vedremo, al simbolo di molte, fondamentali, icone, ma il cammino che propone è anche pieno di immagini e apparizioni inquietanti, infere e “demoniache”.

 – I l quinto elemento essenziale del presepe è il castello di Erode .”Una città. Erode seduto in trono; due soldati gli sono accanto. Sul davanti, ci sono molti altri soldati con uno stendardo. Ci sono altre città sui monti […]”, così viene descritto il modo tradizionale di rappresentare il castello di Erode nella strage dei Bambini in un antico manoscritto di iconografia della tradizione athonita, che A.N. Didron pubblicò a metà Ottocento e nel presepe si preserva l’essenziale di questa parte della rappresentazione. Erode, come Faraone, rappresenta l’autorità illegittima ed iniqua, quella del Princeps huius mundi, colui che oltre che Avversario è definito liturgicamente “il forte” – e per questo il Cristo sarà “il Più Forte” – che si oppone al percorso che conduce al Cristo o che, nelle vesti di un falso pellegrino – lo ritroveremo spesso – ,vuole trovarLo per ucciderLo. Nella tradizione del presepe popolare napoletano a differenza di quello di altre zone: Puglia, Calabria, Liguria, Provenza, ecc..  viene spessissimo rappresentata anche la strage degli Innocenti in modo molto drammatico. Circa le rappresentazioni più antiche ci sarebbe tutto un lavoro di ricerca da intraprendere e per il quale, forse, neppure l’attuale condizione della tradizione presepiale di San Gregorio Armeno è in grado di fornire tutte le risposte. Solo alcuni dei seguenti elementi iconografici sono chiaramente presenti nel presepio popolare napoletano, all’interno della raffigurazione della strage :”[…] In basso, l’angolo sinistro dell’icona è occupata da Erode che interroga gli scribi e i saggi; costoro tengono in mano dei libri che contengono le profezie della Natività di Cristo (Mt 2,4). Più a destra troviamo la strage degli Innocenti. Al centro della scena, alcune madri cercano i loro figli tra i molti bambini morti, le cui teste sono disposte in ranghi serrati sul primo piano. Sopra questa scena, a sinistra, su uno sfondo di città si scorge un gruppo di madri piangenti ( “un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più” Mt 2,18)“. A lato la giusta Elisabetta tiene in braccio Giovanni il Precursore bambino; ella si nasconde in un crepaccio roccioso per sfuggire ad un soldato. “Elisabetta, preso con sé Giovanni, supplicava la montagna dicendo: accogli una madre con il suo figlio. E la montagna accolse il Precursore” [Antologhion, Liturgia della festa, ode del canone, tono 8, opera di Sant’Andrea di Creta e Protovangelo di Giacomo, cap.22] . A fianco, una madre nasconde sotto un albero un neonato in fasce,  aureolato . Sopra questa scena, una piccola iscrizione indica che si tratta di “Natanaele nascosto sotto il fico” […] “Ti ho visto sotto il fico”[…] Nella parte bassa dell’icona, a destra, è collocata la scena dell’uccisione di Zaccaria, “tra il santuario e l’altare” (Mt 23,35) […] commentata nel menologio del 29 dicembre […]” ( Leonid Uspenskij ne “Il senso delle icone”, in coll. Con Vladimir Losskij, pag.154-155, ed. 2007). Il Profeta Zaccaria fu ucciso per aver messo la purissima Vergine, tra le vergini, laddove le donne sposate non potevano stare e questo ricollega la sua morte per volere di scribi e farisei  con la Natività verginale e la conoscenza profetica della divinità di Cristo, ma, per il protovangelo di Giacomo (cap.23), questa sarebbe da ricollegare alla volontà di Erode e per essersi il profeta Zaccaria rifiutato di rivelare il nascondiglio di Giovanni Battista, che Erode aveva scambiato per il Re dei Giudei ( Leonid Uspenskij ne parla nell’op.cit. ) . Tale confusione tra il Precursore e il Cristo, in riferimento specifico all’episodio della Strage degli Innocenti, assume un significato particolarissimo se letto in parallelo con quanto riporta  Ibn Arabi, nelle Fusus al-Hikam,  circa il Profeta Mosè: “[…] Secondo il suo significato spirituale (hikmah), l’uccisione dei bambini maschi [degli Israeliti, assassinio ordinato da Faraone] con lo scopo di sopprimere il profeta [la cui nascita gli era stata predetta], avvenne affinché la vita di ogni bambino ucciso con questo fine affluisse a Mosè; difatti ciascun bambino fu ucciso appunto supponendo che fosse Mosè; ora non vi è ignoranza [ nell’ordine cosmico], di modo che la vita [ossia lo spirito vitale ] di ognuna di queste vittime dovette necessariamente ritornare a Mosè. Era vita pura, primordiale, non ancora contaminata da desideri egoistici […] “, per questo, secondo Ibn Arabi, Mosè manifesta una sapienza molteplice e rappresenta, davanti a Dio, il popolo d’Israele; tale favore eccezionale non sarebbe stato concesso a nessuno prima di lui … “[…] Roberto [ De Simone ] :” Comunque nel vostro presepe i personaggi rimangono quelli tradizionali […] Non c’è la strage degli Innocenti ? “ Umberto :”E quella la fanno giorno per giorno le istituzioni e i nostri politici. L’ultimissima [nel 1998] : la strage degli innocenti attuale è quella del diluvio che ha procurato il mare di fango sui paesi di Sarno, di Quindici e di Episcopio [ oggi la Terra dei Fuochi, l’Ilva, Le Cinque Terre … ]. E cheste nun sogno strage degli innocenti ? Vedete sul punto più alto del presepe ci sono le torri, il castello di Erode, che simboleggia anche il potere politico. Non è lì che si rappresenta la strage degli innocenti ? […] Il presepe di quest’anno è lì. La Tradizione non cambia”.(Registrazione effettuata da R. De S. il 10 maggio 1998 a Napoli […] nella bottega-presepe di Umberto Iannaccone, metalmeccanico ed “artigiano del popolo” […] in op.cit.).

– Il cammino intrapreso da Benino, comincia, pertanto, in rapporto all’assimilazione dei ritmi annuali e cosmici. Solo attraverso questa assimilazione è possibile orientarsi nella ricerca del Logos. “[…]  Quando io pregavo interiormente, tutto il mondo intorno mi appariva sotto un aspetto meraviglioso: alberi, erbe, uccelli, terra, aria, luce, ogni cosa sembrava dirmi che esisteva per l’uomo e testimoniava l’amore di Dio per lui, implorando e cantando la gloria del Signore. E io capivo da questo mirabile concerto ciò che nella Filocalia si chiama “linguaggio del creato”. Ravvisavo il mezzo attraverso cui si può parlare con le creature di Dio […] (Racconti di un pellegrino russo)  http://www.youtube.com/watch?v=NKnR9LqvYqk  . A maggior ragione è la Natività stessa a determinare questa Comunione e per   questo motivo in “ Quann’ nascett’ Ninno “ si dice che  : “ […] De pressa se scetajeno l’aucielle/ Cantanno de na forma tutta nova ( gli uccelli si svegliarono presto,  cantando in una forma tutta nuova) […]” http://www.youtube.com/watch?v=cW0h4UucGTI.  Relativamente a questo particolare tipo di cammino interiore e “misterico” all’interno del Presepe,  pubblico di seguito un’immagine che esprime questo legame tra i sensi interiori dell’uomo e il ciclo annuale. Per questo motivo, al secondo livello, discendendo verso la Grotta e le altre grotte, nel presepe popolare napoletano, troviamo i “venditori”, ognuno dei quali legato ad uno dei  vari mesi dell’anno, come nelle cosiddette “quadriglie carnevalesche”, cioè le rappresentazioni simboliche che si tenevano, fino al  1700, a Napoli. Tenendo presente  questa prospettiva,  quindi, il sesto elemento essenziale è il salumiere che rappresenta gennaio;

– il settimo  è il venditore di ricotta e formaggio  che rappresenta febbraio. Il pollivendolo e venditore di uccelli  rappresenta marzo,

– l’ottavo è il venditore di uova, che rappresenta ovviamente aprile,

– il nono è una coppia di sposi, che porta un cesto di ciliegie e di frutta  e che rappresenta maggio,

– il decimo è il panettiere o fornaio, che  rappresenta giugno,

– l’undicesimo è il venditore di “pummarole”, che sarà legato a luglio

– il dodicesimo è il venditore di “melloni”, agosto;

– il tredicesimo è il venditore di fichi o seminatore, che rappresentano, entrambi, settembre

– il quattordicesimo elemento essenziale è il vinaio o il cacciatore, che rappresentano ottobre;

– il quindicesimo elemento è il venditore di castagne, che  rappresenta novembre,

– il sedicesimo elemento è il pescivendolo o il pescatore , che rappresentano dicembre.

Come si può intuire e come apparirà più chiaro in seguito, molti personaggi, coerentemente con la lettura possibile a più livelli di ogni simbolo, assumono significati diversi, ma comunque organicamente collegati tra loro. Questi, in particolare, il pescivendolo e il pescatore, ricompariranno ad un altro livello di lettura come elementi ugualmente essenziali del presepe e collocabili in un’ altra e diversa prospettiva simbolica.  Il venditore di  ricotta,  ad esempio, rappresentato mentre mescola continuamente il latte cagliato è collegato anche a dicembre ed esprime benissimo questa ambiguità del tempo che sembra tornare indietro, verso il principio dell’anno, che anticamente iniziava a marzo e quindi era gestante, nel  mese di febbraio. L’anno nuovo, ha bisogno di fermentare per crescere. Il suo braccio “ruota” – a San Gregorio armeno ne esistono di modelli animati, che girano ora in senso orario ora in senso antiorario il siero – come il nuovo anno che riprende a girare, dopo un periodo, appunto tra dicembre e gennaio, in cui il tempo sembra scorrere al contrario secondo una “prospettiva rovesciata” che lega la dimensione temporale con l’Eterno . Il Salumiere, poi, si sovrappone spesso al Macellaio, che rappresenta però il Diavolo, che ha permesso, tentando l’Uomo, che la Morte, che disfa ogni carne, entrasse nel Mondo.

– Il diciassettesimo elemento è il fiume, un altro elemento sempre presente nel presepe;”[…] si rapporta alla sacralità dell’acqua che scorre : segno presente in tutte le mitologie legate alla morte e alla nascita divina. Le acque rinviano, innanzitutto, al liquido che avvolge il bambino nel seno materno, ma rimandano anche all’Aldilà, ai fiumi inferi sui quali vengono traghettate le anime dei defunti. Per tale motivo l’elemento fluviale ricorre liturgicamente nei culti mitriaci e presso i santuari di San Michele il cui culto è associato alle grotte e ai fiumi sotterranei. Pertanto, non c’è struttura di presepe a Napoli dove il fiume non sia rappresentato con cascate impetuose che precipitano da fenditure della roccia e dove esso non scorra addirittura con acqua autentica attivata da meccanismi tradizionale […]”  (Roberto De Simone, Il presepe popolare napoletano, op.cit., pag.16, Enaudi, 1998).

– Ricollegandomi alla chiusura della citazione dell’ultimo post sul presepe: “[…] Pertanto, non c’è struttura di presepe a Napoli dove il fiume non sia rappresentato con cascate impetuose che precipitano da fenditure della roccia e dove esso non scorra addirittura con acqua autentica attivata da meccanismi tradizionale […]”  (Roberto De Simone, Il presepe popolare napoletano, op.cit., pag.16, Enaudi, 1998), voglio introdurre, in sequenza  il diciottesimo elemento: il ponte, il diciannovesimo: il pozzo , il ventesimo: il cacciatore, il ventunesimo : la lavandaia e il ventiduesimo : il pescatore. “Ananda K. Coomaraswamy ha segnalato che, sia nel buddhismo sia nel brahmanesimo, la “Via del Pellegrino”, rappresentata come un “viaggio”, può essere messa in rapporto con il fiume simbolico della vita e della morte in tre modi: il viaggio può essere compiuto sia risalendo la corrente verso la sorgente delle acque, sia attraversando il fiume verso l’altra riva, sia infine discendendo la corrente verso il mare. […]  quest’uso di diversi simbolismi, contrari solo in apparenza ma aventi in realtà un medesimo significato spirituale, si accorda con la natura stessa della metafisica, che non è mai “sistematica”, pur essendo sempre perfettamente coerente; bisogna quindi fare solo attenzione al senso preciso nel quale il simbolo del fiume, con la sua sorgente, le sue rive e la sua foce, deve essere inteso in ciascun caso. Il primo caso, quello della risalita della corrente, è forse per certi riguardi il più notevole, poiché bisogna allora concepire il fiume come se si identificasse con l’Asse del Mondo: è il “fiume celeste” che scende verso la terra [ è esattamente a questo che si vuole alludere a Napoli con le “cascate impetuose che precipitano da fenditure della roccia”, di cui sopra ]  […]  In ogni modo, si tratta sempre di un “capovolgimento”, che d’altra parte, come nota Coomaraswamy, era raffigurato nei riti vedici dal capovolgimento del palo sacrificale, altra immagine dell’”Asse del mondo”; dal che si vede immediatamente come tutto ciò si leghi strettamente al simbolismo dell’albero rovesciato [ si noti, a questo proposito, che nella Smorfia napoletana il pozzo (67), il ponte (68) e il sottosopra, l’albero con la chioma in basso e le radici in alto che fruttificano,  (69) sono intimamente connessi tra di loro ]  […] In tali condizioni, si potrà considerare che la “risalita della corrente” si effettui in due fasi: la prima, sul piano orizzontale, conduce al centro di questo mondo; la seconda, a partire di là, si compie verticalmente secondo l’asse [ ma , per il rovesciamento della prospettiva che si subisce nel cammino verso la propria interiorità: questo cammino avviene apparentemente verso il basso, dove si trova,  la Grotta della Natività, proprio a partire dal pozzo o dal ponte] […] Il secondo caso, quello del simbolismo della traversata da una riva all’altra, è probabilmente più noto e più comune; il “passaggio del ponte” che può anche essere quello di un guado, si ritrova in quasi tutte le tradizioni e anche, in special modo, in certi rituali iniziatici; la traversata può anche effettuarsi su una zattera o in una barca, il che si ricollega allora al simbolismo universale della navigazione. Il fiume che si deve così attraversare è più in particolare il fiume della morte; la riva da cui si parte è il mondo soggetto al cambiamento, cioè l’ambito dell’esistenza manifestata (considerata il più delle volte particolarmente nel suo stato umano e corporeo, poiché da questo dobbiamo in effetti partire), e l’”altra riva” è […] lo stato dell’essere definitivamente liberato dalla morte. […] Per giungere allo scopo vi sono anche altri pericoli da evitare nella corrente stessa; essi sono simboleggiati in particolare dal coccodrillo che si tiene “controcorrente”, il che implica che il viaggio si effettui nel senso di quest’ultima; tale coccodrillo, alle cui mascelle aperte si tratta di sfuggire, rappresenta la morte e come tale è il guardiano della porta [rappresentato nel presepe dal Cacciatore: “[…]  Umiliatevi [che implica anche il discendere] […] Il vostro nemico, il diavolocome leone ruggente va in giro, cercando chi divorare […] (1 Pietro, 5,6-8) ] , raffigurata allora dalla foce del fiume (che si dovrebbe più esattamente considerare, come dice Coomaraswamy, come una bocca del mare nella quale il fiume si riversa); abbiamo dunque qui ancora un altro simbolo della “Porta”, che aggiunge a tutti quelli che abbiamo già avuto occasione di studiare ( René Guénon, Simboli della scienza sacra , Adelphi, 1992, pagg.297-299)”. Un altro simbolo di questa porta è, appunto, il pozzo. http://www.youtube.com/watch?v=hlZtjvNxsIs

– Il diciannovesimo elemento è dunque il pozzo. Anch’esso come detto un punto di passaggio, anch’esso particolarmente temibile. De Simone, in proposito, ricorda i pericoli additati ai bambini nell’Avellinese, ma nel Beneventano era lo stesso: lo ricordo benissimo, ad avvicinarsi ai pozzi, il pericolo era di essere trascinati giù dalla mano nera. Ancora De Simone, ricorda che la notte di Natale nell’est dell’Europa non si beve l’acqua del pozzo e non ricordo se  appresi da lui o in Romania, che nella stessa area geografica si sosteneva che la notte di Natale in fondo ai pozzi apparissero i volti delle persone che sarebbero morte durante l’anno. Il che, ancora una volta, è un’esplicita interpretazione del pozzo come elemento di collegamento col mondo “infero”. Drammatica, ma anche esilarante, poi, la  tradizione de ‘a paper’ “cogliuta” … Finanche nell’immaginario moderno: http://www.youtube.com/watch?v=54Cb2lgcLzE

– Del cacciatore abbiamo detto: è il ventesimo elemento essenziale.  “[…] Al cacciatore che di solito imbraccia un fucile non è mai mancato l’ironico commento dei piccolo-borghesi napoletani che, ignorando il senso culturale e metastorico della rappresentazione, ne hanno rilevato il contraddittorio anacronismo. Ma si tratta dell’arroganza e della presunzione di una classe che ha sempre preteso di gestire la cultura, interpretandone i segni e le espressioni dall’alto della propria superficialità. Le figure in coppia del cacciatore e del pescatore rinviano ad arcaiche rappresentazioni del ciclo […] La pregnanze simbolica dei due personaggi è sottolineata, nella rappresentazione presepiale, dalla loro posizione che può dirsi canonica: vale a dire che il cacciatore si colloca in alto, mentre il pescatore è situato in basso, presso le acque fluviali.[…] Né si dimentichi che in tutte le antiche tombe egizie, etrusche e italiche sono ricorrenti le raffigurazioni funerarie della caccia e della pesca […] “(Roberto De Simone, Il presepe popolare napoletano, op.cit., pag.22, Enaudi, 1998). Un altro richiamo è doveroso, secondo me, farlo alla presenza del cane, spesso rappresentato ai piedi del cacciatore e che richiama, assieme alle altre cose dette,  anche le cacce infernali di cui scrissero, tra gli altri, Dante e Boccaccio.

– Sempre presente è anche – ventunesimo elemento –  la lavandaia che non coincide, con la levatrice, che assieme ad altre lavandaie, nei pressi della Grotta, lava e stende i panni del parto divino: il candore di quei panni rappresenta la verginità prima e dopo il parto della Santissima Vergine Maria. Di queste figure, però, diremo più dettagliatamente in seguito. La lavandaia, che si trova nei pressi del fiume, viene spesso associata all’idea di purificazione e questo è evidente. Meno semplice di come potrebbe pensarsi è il modo in cui  avviene o meglio dovrebbe avvenire questa purificazione, che non può essere solo d’ordine grossolanamente sensibile. Un acuto presepista, che ho avuto il piacere di conoscere,  ha fatto dei raffronti assai pertinenti con alcune immagini dell’Atalanta fugiens, di Michael Maier, http://www.facciamoilpresepe.it/lavandaia-purificazione-rinascita-nel-presepe/ . A suo tempo, feci notare la valenza simbolica dell’immagine di un famoso disegnatore satirico, che rappresentava una lavandaia nello sforzo di portare un bambino su per delle scale, con l’intento di alludere al “traghettamento” della vera immagine dell’Uomo nell’oscuramento e nella perdita dell’orientamento di quei e dei nostri tempi. Alcuni degli aspetti legati a questa purificazione sono, però, incomprensibili se non si pone mente  a come avveniva, tradizionalmente, il lavoro di una lavandaia : http://www.comitatiduesicilie.it/?p=3912.”[…]  La settimana di lavoro della lavandaia si articola così:[…]  Alla sera i panni sono insaponati e messi in grandi vasi di terracotta o in un capace lavatoio, entrambi bucati sotto, da cui il termine bucato con cui si indica questo genere di lavaggio. Sui panni si butta quindi dell’acqua bollente che filtra attraverso i panni e sfoga dal foro sottostante generando una colata. […] Quindi vengono stesi ad asciugare sperando nel sole, o cantando per invogliarne i raggi a cadere.[…]” ed è , appunto, su quest’ultimo aspetto che voglio soffermarmi: su questo canto. Notate: http://www.youtube.com/watch?v=3k8PlqkBsxU   l’uso della tammorra che è simbolicamente chiaramente legata con il disco solare e coni ritmi “ipnotici”. Qui : http://www.youtube.com/watch?v=6Qkkz2rd5as ,  si nota meglio, rispetto all’audio della rappresentazione “live”. In questo video: http://www.youtube.com/watch?v=7yu-9YVMQYs  , vi invito a soffermarvi sui primi istanti soprattutto … sul passaggio del ponte (0:24-0:30) . E’ in questo procedimento che si concretizza la purificazione necessaria ad attraversare il ponte e prendere contatto con stati altrimenti ed ordinariamente non accessibili. Sono possibili, ovviamente, numerose altre considerazioni, ma queste bastano a giustificare la collocazione della statuina prima del ponte, spesso vicino alla fontana.

– Il ventiduesimo elemento essenziale è il Pescatore. Assai pertinente mi sembra quello che in proposito ha scritto il presepista napoletano Italo Sarcone: ”[…]  L’acqua, infatti, lava le impurità fisiche: e l’aspersione con l’acqua, o l’immersione in essa, è segno della rinascita allo spirito. I primi cristiani designavano se stessi come pisciculi, “pesciolini”, perché nati a nuova vita nelle acque battesimali. Gesù stesso, nei primi tempi cristiani, era indicato con il simbolo del “pesce”, che in greco si dice ikhthys: i suoni che compongono questa parola erano interpretati come le iniziali di una frase (è quello che si dice un acronimo) […]” . C’è da aggiungere che il pescatore, trovandosi più in basso del cacciatore e costituendo con esso una coppia del presepe che rappresenta morte e vita, giorno e notte, estate ed inverno dovrebbe avere un senso infero e quello- il cacciatore – un significato celeste, ma per il cammino stesso indicato dal presepe, cammino che è discendente, questo rapporto si trova invertito. Il canto del pescatore, infatti, nella Cantata dei Pastori, è un canto d’amore  e di vita, una vita che ha le caratteristiche inconfondibili della vita spirituale l’incontro con l’Amata, il linguaggio erotico –tutti quelli che conoscono il brano ne colgono i significati, anche del “[…] “ basta c’’m’occa a essa ce trasesse […] dopo essere stato fritto in padella , che in questo caso  manca –  e soprattutto della casa di piume di pavone – simbolo della vita noetica – gli occhi delle piume del Pavone – e della Risurrezione – il Pesce in ambito cristiano ne è il simbolo per eccellenza appunto – che consente l’apertura dell’occhio del cuore –  un cuore che si collega con la casa che è piantata in mezzo al mare.

“[…] Che abbondanza di pesce!

Ai giorni miei mai tanti ne prendei,piene le reti,

ho pieni ancora i sandali,e le nasse,

e son piene le casse,ed hor che tanto

del pesce mi è venuto,trovar non posso

alcun per darmi aiuto)…..

Vurria addeventare pesce d’oro,

dint”a lu mare me jesse a menàre.

(Vuoi farti pescatore?)…..

Venesse ‘o piscatore e me pescasse,

dint”a ‘na chianelluccia me mettesse.

(Ma se talor tu vedi luccicar le lamprede

Intorno ai sassi,incontro a la corrente andar le trote,

trescar le lasche,ed isfuggir le anguille,

diresti,oh che contento,vedendo argenti vivi

in chiaro argento…)

Venesse nenna mia e me comprasse,

dint’ a ‘na tielluccia me friesse.

Me voglio fà ‘na casa ‘mmiez’ ‘o mare,

fravecata de penne de pavone,

ohi de pavone…..[…]”

Tutto, nel Natale di Cristo è chiamato a partecipare alla Resurrezione e per questo il mondo è sotto sopra :

“[…] Se rrevotaje nsomma tutt’o Munno,
Lu cielo, a terra, o mare, e tutt’i gente.
Chi dormeva – se senteva
‘Npiett’o core pazzeà
Pe la priezza;
E se sonnava pace e contentezza […]

“[… Trad.]  Si rivoltò insomma tutto il Mondo,
Il cielo, la terra, il mare, e tutte le genti.
Chi dormiva si sentiva
Nel petto il cuore saltare
Per l’allegria;
E si sognava pace e contentezza […]”

(Quann’ nascette Ninno)

https://www.youtube.com/watch?v=cW0h4UucGTI

e la Pace è in terra espressa, nel famoso testo natalizio napoletano, con una serie di immagini, spesso bibliche. Anche per questo, soprattutto nella perdita di misura moderna, non dovremmo mai cibarci di altre vite, se non sapessimo come renderle partecipi della Resurrezione. I numerosi e benedetti periodi di digiuno del ciclo liturgico ortodosso oltre a ricordarci il cibo di Adamo in Paradiso che era solo vegetale, ci ricorda anche questo mistero di partecipazione di ciò che mangiamo.  Nella preghiera ortodossa vespertina del  dopo cena, nel ringraziare alzandoci da tavola recitiamo, tra le altre, una preghiera rivolta alla Vergine: “Il tuo grembo si è fatto santa mensa, accogliendo come pane celeste Cristo Signore Nostro, del Quale tutto ciò che si nutre non morirà , come ha detto Colui che nutre tutti, o Genitrice del Verbo !” . Anche ciò del quale noi stessi ci nutriamo può partecipare, attraverso noi, della Resurrezione, che è di tutto il Creato, nel Cristo. Certi gesti, nella loro semplicità, hanno qualcosa di portentoso, in virtù di Colui che ci ha comandato di rendere grazie a Lui, in ogni cosa. “[…] State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi […]” ( 1 Tessalonicesi 5, 16-18) . Non dovremmo cibarci, ripeto, di altre vite, se non sapessimo come rendere grazie e renderle le partecipi della  Resurrezione. ://www.youtube.com/watch?v=T9ukYV1SOLI

Un’ultima considerazione, tra le tantissime ancora possibili, ma che tralascio, sulla figura Pescatore che voglio fare è relativa ai colori della statuina che sono gli stessi dei fujenti della Vergine dell’Arco. Nei fujenti è chiaramente presente sia l’idea di viaggio, di pellegrinaggio, fatto a passo svelto perché al Bene si risponde di corsa e perché, come è ricordato sempre in Quann’ nascette Ninno i pastori corrono alla Grotta col cuore che gli sbatte in gola per la felicità … bellissimo ! Un altro elemento che richiama l’abbigliamento dei fujenti e i colori di quest’ultimo è uno stato di coscienza non ordinaria , che alcuni associano con l’isteria, altri con la trance, ma il senso più vero e sincero, per quanto affievolito e spesso incompreso – non nei fujenti però: questo non lo posso dire –  credo vada ricercato nella devozione e nel risveglio di quell’intelletto noetico al quale richiamano quelle piume di pavone, di cui sopra.

– Il ventitreesimo elemento essenziale che appare nel presepe è quello costituito dai mendicanti, che rappresentano i morti (le anime “pezzentelle”, chiedono suffragi): come questi appaiono, sebbene solo in parte,  privi dell’uso del proprio corpo, chi è cieco, chi è monco, chi è zoppo … così i defunti attendono di essere aiutati, attraverso le preghiere e le opere dei vivi: http://www.calabriaortodossa.it/joomla//joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=4166:la-commemorazione-dei-defunti&catid=243:giugno&Itemid=11  .

– Il ventiquattresimo elemento essenziale del Presepe è costituito dalle pecore – e molto spesso le capre – che rappresentano  le anime[1] associate alle loro guide, in un percorso che ha già, talvolta,  alcuni caratteri non solo paradisiaci, ma anche inferi. Se cliccate direttamente sul link, il video si aprirà al momento che intendo sottolineare:  https://www.youtube.com/watch?v=Pn41hp4P_mo#t=4084

– Il venticinquesimo elemento è il pastore psicopompo che conduce le pecore e che ha spesso alcuni elementi di Ermes/Mercurio : “[…] Dopo che ebbe parlato con me disse: “Andiamo al campo e ti mostrerò i pastori delle pecore”. “Andiamo, signore”. Andammo in una pianura, e mi mostrò un giovane pastore che indossava un insieme di vestiti di color giallo […] Il volto di lui era molto allegro ed egli andava su e giù tra le pecore. […] LXII (2), 1. Mi dice: “Vedi il pastore?”. “Lo vedo, signore”. “Questo è l’angelo della dissolutezza e della voluttà. Egli guasta le anime dei servi di Dio che sono vuoti e li devia dalla verità, seducendoli con le malvagie passioni per cui trovano la morte. 2. Si dimenticano dei precetti del Dio vivente e camminano nella via dei piaceri e dei godimenti vani e sono rovinati da questo angelo. Chi va a morte, chi si corrompe”. 3. Gli dico: “Signore non capisco chi a morte, chi a corruzione”. “Ascolta, dice, le pecore che vedi giulive e saltellanti sono coloro che per sempre si sono distaccati da Dio e si sono dati ai piaceri di questo mondo. In loro non c’è conversione di vita perché hanno aggiunto la bestemmia contro il nome del Signore. Per loro c’è la morte. 4. Le pecore che vedesti non saltellare, ma pascolare insieme, sono quelli dediti ai godimenti e ai piaceri, ma non bestemmiarono il Signore. Essi, lontani dalla verità, furono corrotti ma per loro c’è speranza di penitenza nella quale possono vivere. La corruzione ha qualche speranza di rinnovamento, la morte, invece, ha la rovina eterna”[…] (Visioni di Erma il Pastore) “ . Il percorso accidentato di taluni greggi, nel presepe è particolarmente enfatizzato e il colore degli abiti dei pastori che le conducono cambia di conseguenza. “ […]    5. Avanziamo ancora un poco e mi mostra un pastore grande d’aspetto […] Questo pastore riceveva dal pastore giovane le pecore che erano lascive e dissolute e non saltellavano. Egli le cacciava in un dirupo pieno di spine e di triboli e le pecore non potevano districarsi dalle spine e dai triboli perché ne rimanevano impigliate. 7. Pascolavano prese tra le spine e i triboli e soffrivano assai, percosse da lui. Le spingeva qua e là e non dava ad esse pace; addirittura non riuscivano a reggersi.[…] LXIII (3), 1. Vedendole così flagellate e percosse, mi dispiacevo perché erano così tormentate e non avevano mai pace. 2. Dico al pastore che parlava con me: “Signore chi è quel pastore implacabile e duro che non ha nessuna pietà di queste pecore?”. Mi risponde: “È l’angelo del castigo; uno degli angeli giusti assegnato al castigo. 3. Egli prende quelli che hanno errato lontano da Dio camminando nella via delle passioni e dei piaceri di questo mondo e li punisce, come ognuno ha meritato, con diversi castighi atroci”. 4. “Signore, desidererei sapere quali sono questi diversi tormenti”. “Ascolta, le varie prove e castighi sono le prove della vita. Alcuni sono puniti con malanni, altri con privazioni, altri con malattie varie, altri con ogni disgrazia; altri, infine, sono offesi da indegni e soffrono parecchi altri mali. 5. Molti, incerti nelle decisioni, intraprendono molte cose e nulla loro riesce. Dicono che non hanno successo nei loro affari e, non ricordandosi nel loro cuore che operarono male, incolpano il Signore. 6. Quando sono afflitti da ogni tribolazione, allora mi vengono consegnati per una buona rieducazione.[…] “(Visioni di Erma il Pastore)  . Talune greggi, infatti, pascolano, serenamente vicino a delle fonti d’acqua pura e qui appaiono condotte  dal Buon Pastore, tradizionalmente  con vesti prevalentemente rosse : “[…]   Si rafforzano nella fede del Signore e, per i rimanenti giorni della loro vita, lo servono con cuore puro. Quando si pentono allora risaltano nel loro cuore le opere perverse che compirono, e glorificano Dio perché è giudice giusto e giustamente ognuno ha tutto sofferto secondo le proprie azioni. Dopo servono il Signore con cuore puro e riescono in ogni azione, ricevendo da Dio quello che chiedono. Allora glorificano il Signore, perché mi furono affidati e non soffrono più alcun male [..]” ( Visioni di Erma il Pastore) . https://www.youtube.com/watch?v=Pn41hp4P_mo#t=4084

– Il ventiseiesimo elemento essenziale del presepe è la zingara. Spesso questo personaggio è associato ai vaticini e porta con se dei ferri, che prefigurano e preannunciano la Crocifissione. Scrive, in proposito, Elena Sica ne Il presepe napoletano : “La sua presenza è drammatica, poiché essa porta in mano e nel cesto arnesi di ferro, metallo usato per i chiodi della crocifissione. Tale personaggio è posto vicino all’osteria o in un luogo del presepe lontano dalla grotta […]”.  In un certo senso la zingara richiama anche sia la figura che la funzione della Sibilla Cumana, riconosciute dall’iconografia cristiano ortodossa e della quale dirò poi, ma anche la stessa Vergine Santissima che è equiparabile, con il Bimbo tra le braccia, proprio ad una nomade in fuga nella terra straniera dell’Egitto.

– Il ventisettesimo elemento essenziale è il monaco: “’O munaciello: a chi arricchisce e a chi appezzentisce (manda in miseria)”.  Il Munaciello è “[…]  uno spirito spesso demoniaco ma anche benigno protagonista di leggende e storie napoletane che rivivono ancora oggi nelle paure dei napoletani più tradizionalisti. Si narra che il munaciello una volta infestata la casa regala i numeri da giocare al lotto a patto che si mantenga il segreto. Molto spesso fa solo dispetti o addirittura porta la gente alla follia e pesino alla morte  […] “. In questo tipo di descrizione il munaciello assomiglia agli incubi di certa tradizione cristiana descritti anche nella  De Civitate Dei XXIII,23 da Sant’Agostino d’Ippona : “[…] Ed è notizia assai diffusa e molti confermano di averlo sperimentato o di avere udito chi l’aveva sperimentato che i silvani e i fauni, i quali comunemente sono denominati “incubi”, spesso sono stati sfacciati con le donne e che hanno bramato e compiuto l’accoppiamento con loro [… ]”. Verso gli uomini si mostra talvolta violento, percuotendoli, mentre verso le donne la violenza è a sfondo sessuale. Alcune rappresentazioni presepiali possono essere anche estremamente volgari: sotto la tunica al munaciello è dotato di un attributo maschile sproporzionato. A differenza dei succubi, infatti, che hanno fattezze di donne molto attraenti e procaci, il munaciello ha delle sembianze che lo fanno rassomigliare più, appunto,  ad un fauno e, per certi versi, è paragonabile  ai jinn della tradizione ebraica ed islamica : https://www.youtube.com/watch?v=GXK81_LDM6k [2]. Come questi ha anche il potere di rendere incredibilmente ricchi. Secondo  Matilde Serao, che ne scrisse in Leggende napoletane, il munaciello fu invece un uomo realmente esistito nato da una relazione segreta che, analogamente ala storia di Lisabetta da Messina, portò all’uccisione di lui e alla segregazione di lei, che mise al mondo un bambino deforme, deformità che avrebbe poi nascosto con l’abito religioso. E’ descritto anche nella canzone del 1891, ‘O Munaciello di Roberto Bracco e rappresentato in Nu munaciello dint’a casa ‘e Pullecenella (Un munaciello a casa di Pulcinella, 1901) di Antonio Petito , da  Eduardo De Filippo in  Questi fantasmi! Nelle leggende napoletane questo personaggio è anche messo in relazione con i pozzi, che addirittura amministrerebbe e talvolta avvelenerebbe.  Personaggi, non sempre presenti, che appaiono a questo livello della rappresentazione assieme al monaco, sono i  monacelli, posti spesso sul ponte e che rappresentano i 12 mesi dell’anno che passano: hanno il  pollice di  una mano rivolto verso l’alto e questo pollice è luminoso o incandescente.

– Bambini. “[….] Renato Raffaele nel suo Variazioni sul Don Giovanni (ed. Quattroventi, Urbino 1990) evidenzia ampiamente che i poveri nel folclore sono considerati vicari dei morti, in primo luogo perché sono privati  della possibilità di bere e di mangiare. Per tale motivo le offerte di cibarie e di bevande ai defunti possono effettuarsi mediante elemosine o elargizioni ai mendicanti e ai poveri, che ne sono equivalenti simbolici e i rappresentati sostitutivi. Ma anche i bambini […] sono considerati allo stesso modo degli indigenti. Quindi anche i doni alimentari loro elargiti equivalgono ad offerte funerarie. Tutto questo spiega la distribuzione di doni e di dolciumi ai bambini nel periodo natalizio e chiarisce il ruolo di protagonisti che essi assumono durante le feste di Natale e dell’Epifania […] “ ( Roberto De Simone, Il presepe popolare napoletano, op.cit., pagg.29-30, Enaudi, 1998). Nella tradizione rumena, tutto questo è particolarmente evidente, ma lo era anche da noi, in Campania, fino a pochi anni fa. In provincia di Benevento, come ebbero a scrivere Amerigo Ciervo dei Musicalia, il canto Santo Suriesto aveva una funzione analoga. La loro versione è davvero stupenda.  Tra i cibi offerti, una funzione importantissima avevano spesso i semi o frutti secchi come le noci,  che sono spesso alla base degli “ scambi conviviali” tra vivi e morti .  I semi e la frutta secca sono infatti ingredienti essenziali dei dolci dei defunti. https://www.youtube.com/watch?v=ep0TSL_Uw1o&index=13&list=PL0vRo_LPaJRKsQyKKYsHjTMhTio0acuju

– Il ventinovesimo elemento essenziale del presepe è l’uomo sulla scala che coglie i fichi, che, assieme a …

– Il trentesimo elemento, il mugnaio, imbiancato, pallido come un morto, rappresenta appunto la morte.

– I carabinieri o le sentinelle, trentunesimo elemento, rappresentano, assieme ai pastori, che sono i guardiani delle pecore, i guardiani delle anime che chiedono l’aiuto delle preghiere e delle opere dei vivi.

– Armenzio, trentaduesimo elemento, è  un anziano pastore, padre di Benino. Letto in coppia con il figlio rappresentano, rispettivamente, l’anno morente e quello nascente.

– Il trentatreesimo elemento è costituito dalla monaca. Pezzo oggi alquanto raro. La vicenda che evoca questa figura è assai simile a quella di Lisabetta da Messina:   la donna è rappresentata, infatti, “[…] con un pugnale conficcato nel petto e con una bisaccia a tracolla in cui si scorge la testa di un giovane. […E’la] leggenda di una fanciulla nobile, la principessa Cicinielli. La giovane era stata costretta dal padre a prendere il velo monacale, ma era innamorata di un paggio, col quale furtivamente amoreggiava di notte […] una volta i due amanti decisero di incontrarsi nella notte di Natale, sicuri di non essere sorpresi. Si diedero appuntamento presso un ponte, ma il padre di lei, informato[…] sorprese il paggio e gli troncò la testa […] quando giunse la sventurata giovane, raccolse […] il capo [….] e si trafisse con lo stesso pugnale […] si diceva che la fanciulla apparisse la notte di Natale […] presso il ponte della Maddalena [a Napoli]” . Sono evidenti le analogie con l’altrettanto drammatica vicenda di Elisabetta da Messina cantata  nel Decamerone  e ben nota a Napoli, dove, secondo il racconto di Boccaccio, fuggì la famiglia della ragazza  con lei, dopo l’omicidio.

– A questo punto del percorso nel presepe, appaiono gli Orientali, i Mori, il trentaquattresimo elemento, anch’essi collegati nel folclore alla morte, per via del loro volto scuro. Essi però fanno parte del seguito dei Magi. Così scrive Esichio presbitero circa la valenza simbolica dell’apparire del volto nero degli Etiopi spirituali nel cuore: “[…] Tu, poi, devi scrutare con lo sguardo acuto e intenso della mente in modo da accorgerti chi entra. Appena te ne rendi conto, schiaccia subito, con l’opposizione, la testa del serpente, ma, nel far questo, grida con gemito verso Cristo ed allora sperimenterai il divino invisibile soccorso e vedrai distintamente la rettitudine del (tuo) cuore.  Come chi, stando in mezzo ad altri, tiene lo specchio in mano e guardandovi dentro vede sì il proprio volto ma anche quello degli altri che vi si riflettono, così chi osserva totalmente il proprio cuore, vede in esso e la propria condizione e i volti neri degli etiopi spirituali […]”.

– Il trentacinquesimo elemento è proprio il simbolo del cuore e dell’intelletto purificati attraverso gli spaventi della notte: il Cercatore con la Lampada. Dice, infatti, ancora Esichio presbitero, citato da Teofane il Recluso: “[…] Se tu, nel tuo cuore, ti rivolgerai sempre con spirito di umiltà, con la memoria della morte, giudicando te stesso, op­ponendoti ai pensieri e con l’invocazione del nome di Gesù Cristo; e se con queste armi continuerai assennatamente il cammino del pensiero angusto, fonte di gioia e piacevole, allora entrerai nelle sante contemplazioni dei santi e sarai illuminato dai profondi misteri di Cristo, in cui sono sepolti tutti i tesori di sapienza e di scienza, in cui abita tutta la pienezza della divinità (Col 2, 3.9). Poiché tu sentirai in Cristo che nella tua anima è disceso lo Spirito Santo, che illumina la mente, perché tu possa contemplare a viso aperto. Nessuno – dice l’Apostolo – può invocare Gesti Cristo, se non nello Spirito Santo (1 Cor 12, 3). Naturalmente, con ciò, egli conferma colui che cerca misticamente» (n. 29) […]”.

– Il trentaseiesimo elemento è, conseguentemente a quanto detto sopra,  il primo di quelli che introduce il  corteo dei Re Magi, ma anche al Mistero dell’Incarnazione:

“[…]Cristo Gesù,
, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

 Il corteo dei Magi, rappresenta da una parte la definitiva sconfitta degli dei “falsi e bugiardi”, dall’altra  il corteo di quei nomi che sono al disotto del Nome. L’elemento che lo introduce, per questo, è costituito in genere, dalle rovine di  un tempio romano  e avrà come esito una grotta a fianco a quella dove nasce il Salvatore. Il tema che lega questi due aspetti di questo elemento è la porta, attraverso la quale si può accedere alla Salvezza.

– Il trentasettesimo elemento è  il carro trainato dai buoi con alla guida Ciccibacco (Dioniso), che introduce la processione dei nomi che vanno a prostrarsi al Nome che è al di sopra di ogni altro nome. Ciccibacco è rappresentato su una botte che richiama uno dei suoi “giocattoli” fondamentali : il cerchio . Le associazioni possibili in proposito, a proposito cioè del viaggio all’interno del presepe alla ricerca del Cristo nascente,  sono numerose e molto complesse. Qui mi limito ad un accenno, che è, però, secondo me, estremamente denso è significativo, suggerendo la visione dell’incipit del film Nostos di Franco Piavoli (dal minuto 1:28 in poi): https://www.youtube.com/watch?v=l02rSvf2gYs#t=88   . https://www.youtube.com/watch?v=MzqGkZQsxXw Ciccibacco è  la figura dionisiaca centrale di un vero e proprio corteo di uomini in vesti di lana di pecora o di capra che suonano zampogne, tamburi e pifferi. Tale corteo può essere associato alla Festa di Piedigrotta  http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Piedigrotta, sia per “[…] i culti pagani [che] si celebravano fin dal I secolo a.C., tanto che Petronio Arbitro nel suo Satyricon menziona dei baccanali, [… sia per ] il culto di Maria Vergine [che] si diffuse in Campania nel III secolo d.C., poi nell’VIII secolo si aggiunse quello di Maria Oditrigia, originario di Costantinopoli e della quale scrisse anche il Petrarca […]”  . Alcuni altri paralleli notevoli si impongono: uno è senz’altro quello col rito dei Mamutones: https://www.youtube.com/watch?v=6hpvYmSrnW0 . Un altro parallelo notevole, tra gli altri, è quello con una tradizione rumena, relativa al periodo che intercorre tra la notte di Natale e quella di Capodanno: alcuni musicanti e danzatori girano nei paesi bussando alle porte, suonando e danzando e vestiti da capra e orso: https://www.youtube.com/watch?v=tco3MFfx1Pk .Questo corteo nel suo snodarsi verso la Grotta della Natività, sottolinea una serie di figure mitologiche[3]. Della prima abbiamo già detto: la Zingara, che rappresenta anche la Sibilla Cumana, delle altre dirò qui, immediatamente di seguito https://www.youtube.com/watch?v=-kOC0wgP1Rs  :

– Le vecchie che filano, tessono, adoperando il fuso, non sono altro che le Parche.

– I due vecchi, forse marito e moglie, che si riscaldano al fuoco del braciere invece rappresentano Saturno e Rea.

– Una donna d’alto lignaggio seduta in portantina e facente parte del seguito dei Re Magi, detta la Georgiana, rappresenta invece,in riferimento a questi rimandi mitologici, la dea Diana . Questo personaggio, però, allude anche e soprattutto  alla Regina di Saba “[…] La regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall’estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c’è più di Salomone! […]” (Matteo 12,42).

– Il quarantunesimo elemento essenziale introduce l’ultimo livello, il più basso, del presepe, che , nella sua struttura generale, è costituito da tre grotte, di cui la centrale è quella della Natività. Un’altra è quella dalla quale uscirà la processione degli déi che sono ricondotti al Vero Dio, per quello che attiene ai loro aspetti positivi, prostrandosi , a maggior ragione, per quel che riguarda i loro aspetti demoniaci, che pure sono rappresentati. La terza, l’elemento in questione appunto,  la Taverna .  La Taverna ha un duplice significato, infero in senso proprio e del quale diremo a proposito dell’Oste, ma anche positivo, legato alle benedizioni lungo la Via Spirituale, delle quali pure farò qualche cenno in seguito, ma si può notare subito che la taverna o l’osteria alludono immediatamente al peregrinare  di Maria Santissima e San Giuseppe alla vana ricerca di un alloggio. La Taverna della Rovina è, inoltre, il simbolo  per eccellenza della riunione della famiglia spirituale attorno alla mensa e richiama direttamente il  “consuolo”, ovvero al rituale banchetto offerto in onore di un defunto, i pasti rituali delle feste natalizie ed indirettamente allude alla stessa Eucarestia.

Vieni nella Taverna.

Bevi il vino !

Non andare al monastero

Se è stato occupato da oscuri malfattori !

(Hafez)

–  L’oste, quarantaduesimo elemento, ha un significato sinistro, già rinvenibile nella tradizione greco-romana a proposito di Procuste [4]. A questo proposito vale la pena ricordare alcuni elementi che fanno parte non solo della tradizione napoletana in particolare, ma della vita di uno dei Santi maggiormente legato al Natale, San Nicola di Mira e che si può leggere  qui: http://www.basilicasannicola.it/page.php?id_cat=1&id_sottocat1=38&id_sottocat2=49&id_sottocat3=0&titolo=I%20tre%20bambini%20risuscitati .

– Il quarantatreesimo elemento è costituito da Maria ‘a purpetta: una donna che avvelena, nell’osteria, con le polpette i mariti infedeli. In realtà anche l’elemento delle polpette allude ai pasti rituali di scambio tra i vivi e i morti, specie quando queste uniscono la carne, che è un alimento dei vivi, a semi quali noci, pinoli, ecc … che sono il cibo dei morti. Un cibo che unisca le due cose,essendo il pasto rituale un momento di aggregazione e di identificazione di una identità di una comunità, in quest’ottica simbolica e tradizionale, per la quale è possibile realizzare questi scambi solo in certi momenti precisi dell’anno, appare come un scambio rituale e una comunione. Ed è esattamente questo che avviene nel tipico piatto della tradizione campana del pranzo di Natale: il Cardone beneventano, che da noi “[…]  è il primo piatto tradizionale del pranzo natalizio : oltre ai  cardi (da cui deriva il nome “cardone” e che sono anch’essi un cibo, come le erbe in generale, dei defunti), uova sbattute, pollo lesso sfilettato e, appunto polpette di carne macinata con i pinoli.

 – Uno degli elementi centrali della Taverna e di tutto il presepe è costituito dalla coppia formata dai Giocatori che giocano a carte nell’osteria e che sono Zi’ Vicienz’, simbolo, in Campania del Carnevale e della Morte e Zi’ Pascale, che rappresenta la Pasqua e la Resurrezione. E’ evidente che a questo punto del percorso nel presepe, la Taverna appare nel suo duplice aspetto di distruzione e rovina (l’oste come sinistro guardiano della soglia …) per coloro i quali non hanno la benedizione e l’aiuto del Cielo per superare i tranelli della Morte. Ma appare anche, per l’asceta che possiede la luce della fiaccola che ha acceso, passando attraverso gli “spaventi notturni” e caricandosi di benedizioni celesti, la porta verso la Grotta della Natività. Zi’ Vicienz’ e Zi’ Pascale sono anche collegati, molto giustamente, ai due San Giovanni, a San Giovanni che ride e a San Giovanni che piange, ai due solstizi e alle benedizioni che donano in modo complementare l’uno rispetto all’altro e lungo la Via che conduce al Cristo, Vera Luce e Salvatore delle nostre anime.

– Il quarantaseiesimo elemento è il barbiere, che con il macellaio e l’oste, è una figura marcatamente demoniaca, anche se, per il macellaio, la figura non è riconducibile esclusivamente a significati sinistri, ma anche al simbolismo legato ai mesi. Nel caso specifico però si riferisce ad un periodo “pieno di diavolerie” e dove il mondo appare “sottosopra”, cosa che nel fluire ciclico del tempo, richiama il fenomeno tradizionale del rovesciamento dei poli, che permette alla fine di un ciclo il manifestarsi subitaneo di un nuovo inizio. Come accennato, questi personaggi –  l’oste, il macellaio ed il barbiere – sono protagonisti di antiche leggende o racconti popolari in cui rivestono il ruolo di personaggi negativi. Se cliccate direttamente sul link, il filmato parte invece da una rivisitazione moderna  https://www.youtube.com/watch?v=tmRnmsOXSrs#t=318 .

– Il quarantasettesimo elemento essenziale del presepe è il pescivendolo, che è direttamente collegato col banchetto della Taverna. Al di là, infatti dell’allusione  ad un certo simbolismo sessuale,  che richiama in coppia con la figura del  munaciello, con il quale costituisce un’altra delle coppie di personaggi o di elementi tipici del presepe, rimanda direttamente al simbolismo eucaristico. L’esclamazione  tipica del pescivendolo: “il mio pesce è vivo” può essere letto ad un livello incontestabilmente ed incomparabilmente più profondo di quello legato ad un semplice lazzo a sfondo erotico e in questo contesto, analogamente a quanto avviene per il Pescatore, richiama la nascita della coscienza dei Cristiani, i piccoli pesci usciti vivi dal Fonte battesimale da che erano morti .”[…] Nasce Cristo, per far risorgere la sua immagine un tempo caduta […]  La tua nascita, o Cristo nostro Dio, ha fatto sorgere per il mondo la luce della conoscenza […] ““[…] e con essa, gli adoratori degli astri sono ammaestrati da una stella ad adorare te, Sole di Giustizia, e a conoscere Te, Oriente dall’alto […] : così i Re Magi, dal punto di vista del simbolismo cosmologico, rappresentano  il viaggio notturno del sole, proveniente da oriente,  che termina solo con la nascita del “nuovo sole”: il Bambino: Oriente dall’Alto. Rappresentano anche i Veri adoratori della Luce della Conoscenza, la Stella, quarantottesimo elemento essenziale del presepe, che li guida. Ognuno dei Magi esprime, attraverso i colori degli abiti ,  attraverso i gesti delle mani e attraverso i doni un aspetto specifico  di questa adorazione della Luce della Conoscenza: “[…] Hanno offerto doni preziosi: oro puro per il Re dei secoli, incenso per il Dio dell’Universo, mirra per l’Immortale […]” . I nomi ad essi attribuiti dalla tradizione sono:

Melchiorre,

– Gaspare e

– Baldassarre.

– Il cinquantaduesimo elemento essenziale è costituito dal corteo dei pastori: “[…] Venite, fedeli, andiamo a vedere dove è nato il Cristo; seguiamo insieme ai Magi, Re d’Oriente, la direzione che indica la stella. Là gli angeli incessantemente inneggiano, i pastori vegliano (o fischiano) nei campi, elevando il degno cantico: “Gloria nel più alto dei cieli” […]”. In passato tutti i pastori erano raffigurati in atteggiamento orante ed il gesto delle mani doveva esprimere i diversi “stati d’animo” che questi sperimentavano in quella veglia di quella meravigliosa notte: dei veri e propri “mudrā” sacri.

– Questo corteo arriverà al Bambino Divino, attraverso una spelonca, cinquantatreesimo elemento,  che si trova allo stesso livello della Grotta della Natività e attraverso la quale  tutti questi  elementi e personaggi saranno introdotti  nel cuore del presepe: l’Adorazione dell’Incarnazione del Cristo. ”[…] Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: gli angeli, l’inno; i cieli, la stella, i magi, i doni; i pastori, lo stupore ( la meraviglia), la terra, la grotta, il deserto, la mangiatoia: ma noi ti offriamo […]”…

 –  Il cinquantaquattresimo elemento essenziale del presepe è costituito dalla sacra grotta, che  si trova sempre nel punto più basso del presepe e sempre al termine di un lungo e tortuoso percorso, spesso a spirale o labirintico. In quanto grotta può considerarsi come il confine fra le tenebre e la luce, fra l’inconscio – nella duplice possibile accezione di ciò che si trova al di sopra del razionale e di ciò che, invece, è illogico, caotico, al di sotto di ciò che è razionale –  e il razionale. Nel presepe alcune grotte rappresentano esclusivamente il secondo aspetto, quale confine e porta d’accesso al caotico e al tenebroso, ma la Grotta della Natività esprime, come significato,  esclusivamente l’accesso al Mistero, all’incomprensibile e al Divino: “[…] Danza tutta la terra […] Betlemme […] lietamente appresta la grotta divina […] Or Giacobbe partì da Beer-Sceba e se n’andò verso Charan.  Capitò in un certo luogo, e vi passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, la pose come suo capezzale e si coricò quivi.  E sognò; ed ecco una scala appoggiata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; ed ecco gli angeli di Dio, che salivano e scendevano per la scala.  E l’Eterno stava al disopra d’essa, e gli disse: “Io sono l’Eterno, l’Iddio d’Abrahamo tuo padre e l’Iddio d’Isacco; la terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua progenie; e la tua progenie sarà come la polvere della terra, e tu ti estenderai ad occidente e ad oriente, a settentrione e a mezzodì; e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua progenie.  Ed ecco, io son teco, e ti guarderò dovunque tu andrai, e ti ricondurrò in questo paese; poiché io non ti abbandonerò prima d’aver fatto quello che t’ho detto”.  E come Giacobbe si fu svegliato dal suo sonno, disse: “Certo, l’Eterno è in questo luogo ed io non lo sapevo!”  Ed ebbe paura, e disse: “Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!”. E Giacobbe si levò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva posta come suo capezzale, la eresse in monumento, e versò dell’olio sulla sommità d’essa.  E pose nome a quel luogo Bethel; ma, prima, il nome della città era Luz. E Giacobbe fece un voto, dicendo: “Se Dio è meco, se mi guarda durante questo viaggio che fo, se mi dà pane da mangiare e vesti da coprirmi, e se ritorno sano e salvo alla casa del padre mio, l’Eterno sarà il mio Dio;  e questa pietra che ho eretta in monumento, sarà la casa di Dio; e di tutto quello che tu darai a me, io, certamente, darò a te la decima” […]”.https://www.youtube.com/watch?v=MvjiVam2HO4

– “[…]Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: […]  i pastori, lo stupore (la meraviglia) […]” . Davanti alla grotta un pastore,  in atteggiamento orante, che per tutti rappresenta “a’ meraviglia” e che costituisce il compimento del viaggio di Benino . Lo stupore per l’evento meraviglioso: la nascita del Teantropo. La gioia di vivere, quella per la nuova era iniziata – la terra è diventata Paradiso : “[….] l’Eden offre la grotta  […] “ –  è espressa da “Core cuntento ‘a loggia “, personaggio ilare e positivo: cinquantacinquesimo elemento , per quanto collegato anche col il timor panicus[5] e col Timor di Dio, che sul volto di alcuni pastori si legge in modo mirabile : si veda, ad esempio, qualche rappresentazione di quello che viene indicato con il nome specifico di pastore della paura e non della meraviglia.

 – ”[…] Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: gli angeli, l’inno […]”… Gli angeli che discendono sulla grotta proteggono e glorificano il Bambino divino. Cinque sono quelli essenziali. Il primo, cinquantaseiesimo elemento,  con la scritta: “Gloria in Excelsis”, che rappresenta  la “Gloria del Padre” posto sulla grotta al centro.

– Alla sua destra, cinquantasettesimo elemento un angelo  con un Incensiere e che rappresenta la “Gloria del Figlio” .

– Alla sinistra dell’angelo della Gloria del Padre, un angelo rappresentato con una Tromba e che rappresenta la “Gloria dello Spirito Santo” .

– Gli altri due non sono sempre raffigurati e non sono così essenziali come i primi tre:  uno con i piatti metallici esprime l’osanna dei Re, cinquantanovesimo elemento.

– L’altro angelo,sessantesimo elemento,  raffigurato con un tamburo, esprime l’osanna del popolo. https://www.youtube.com/watch?v=iqp8WldOEPo

– Il sessantunesimo elemento essenziale del presepe è la mangiatoia. .”[…] Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: […]  il deserto […]”. Il termine stesso di presepio etimologicamente deriva dalla mangiatoia. Il richiamo al deserto del quale la mangiatoia è espressione  indica la dimensione ascetica ed esicasta della Via cristiana di vittoria e liberazione dalla morte e dalla corruzione. Tutto il percorso del presepio allude a ciò che la mangiatoia richiama: la Natività con tutto ciò che essa comporta e che sarà ulteriormente chiarito dalle fasce.

 – Il sessantaduesimo elemento essenziale del presepe, collegato con la mangiatoia e  con le due lavandaie di cui diremo poi,  sono le fasce: ” […] santissima è la mangiatoia,  teòfore le fasce: la vita, in essa avvolta, spezzerà le catene della morte, stringendo i mortali per renderli incorruttibili, o cristo, Dio nostro […]”. In Quann’ nascette Ninno un passaggio particolarmente illuminante a  proposito di questo paradosso attraverso le quali le fasce spezzano le catene della morte, trasformando ciò che incatena: le passioni, in ciò che ci unisce a Dio: le virtù : ” […] Pe ‘nsí o ffieno sicco e tuosto / Che fuje puosto – sott’a Te, / Se ‘nfigliulette, / E de frunnelle e sciure se vestette […]” (trad. “ […] Come il fieno secco e tosto Che fu posto sotto di Te,S’ingemmò,

– E di fronde di fiori si rivestì.[..]” .

– Il sessantatreesimo elemento essenziale del presepe è il bue che, assieme all’asinello, rappresenta le forze cosmiche  presenti alla nascita del Teantropo. In genere queste forze sono polari e opposte e per questo si è attribuito a questa coppia di animali, tra gli altri, anche il significato simbolico di esprimere le forze benefiche e malefiche, delle quali il bue rappresenterebbe quelle benefiche e l’asinello quelle malefiche. Nel gioco di tessitura della trama e dell’ordito cosmico, queste forze, però si intrecciano più propriamente come lo Yin e lo Yang del Taoismo e spesso in modo imprevedibile e quindi non è possibile attribuire al bue e all’asinello, in modo univoco, una corrispondenza con le forze benefiche e malefiche, che possono manifestare in modo alternato e per questo vanno presi,appunto, in coppia: un’ennesima coppia di elementi fondamentale del presepe.

– L’asinello, il sessantaquattresimo elemento del presepe, si ricollega, come descritto. al bue, con il quale forma una coppia inscindibile. Di propriamente malefico, all’asino viene attribuito, come espressione marcatamente sinistra di forze diaboliche,  il raglio. Infatti, nella versione della Nccp, l’esecuzione di Quann’nascette Ninno termina con il solo muggito del Bue e degli altri ruminanti (minuto 3:23) a rappresentare l’irruzione delle forze del Bene nella Creazione per risollevarla dalla Morte: https://www.youtube.com/watch?v=LX8hns0uukk#t=203 Vi sarebbero molte altre considerazioni possibili da fare circa questo elemento, a partire dalla  cavalcatura con la quale il Cristo farà il suo ingresso trionfante in Gerusalemme e altre relative al Dio crocifisso con la testa d’asino  che appare  nel graffito di Alessameno nel Paedagogium del Palazzo Domiziano sul Palatino[6] .

– Le lavandaie[7] o le levatrici costituiscono il sessantacinquesimo elemento essenziale del presepe. Sono due e lavano il Bambino, che poi fasceranno  e i panni del parto. Sono, tra l’altro, testimoni della Verginità di Maria Santissima prima e dopo il parto.

– A quest’ultima coppia di personaggi, si collega l’ennesima presenza demoniaca nel presepe, ripresa da alcuni racconti apocrifi. Si tratta della lavandaia col piede di capra: sessantaseiesimo elemento. E’ il demonio stesso che vuole capire se è nato veramente il Messia e se la Vergine ha realmente partorito. Questo elemento è collegato anche alla Fontana per un altro motivo fondamentale legato al fatto che sotto queste stesse spoglie il demonio si sarebbe manifestato alla Vergine per impedirle di accogliere l’Annunciazione mettendola in guardia che le sarebbe apparso un giovane di bellissimo aspetto che aveva intenzione di unirsi con lei e di non ascoltare le sue parole. La Vergine che aveva lo sguardo abbassato riconobbe, dal piede di capra che sporgeva dalle vesti della donna,la presenza del demonio e svelò il suo tentativo d’inganno. Il demonio sentendosi scoperto, sparì.

– Come “esorcizzare” e difendersi dai tanti elementi demoniaci presenti nel presepe? Ecco il sessantasettesimo elemento essenziale del presepe: la presenza di erbe “apotropaiche” e con la virtù di fungere da supporto alle energie capaci di incorniciare quegli elementi ed impedirgli di nuocere. Innanzitutto, secondo la tradizione partenopea: mai porre il presepe in una camera da letto e  contornarlo, sempre, di erbe “magiche” [8], 5 o 7  e per la precisione: il muschio, il mirto o il bosso (la mortella), il rosmarino, il  pungitopo, il rosmarino, il timo serpillo  e soprattutto le spine del vepere, detto anche “restina” o la spina cardella. E quasi superfluo notare che quasi tutte queste piante rivestivano un’importanza, anche notevole, nella farmacopea tradizionale e in quella popolare della quale si è perso quasi del tutto memoria. Quando il presepe era ultimato era necessario purificarlo e proteggerlo ulteriormente incensandolo. “[…] Emanuele: “Le diavolerie compaiono tanto più nei giorni di Natale. Forse per questo si usa mettere sul presepe sette erbe magiche, che si usano anche per altre cose: il muschio di muro, la serpilla, un’erba odorosa che si mette nelle bare dei morti, il timo, la spina cardella, un’erba spinosa che tiene lontani gli spiriti indemoniati, la mortella e il rosmarino. Queste erbe le portano Masiello e la Masiella sull’asino. Le portano nel cesto per simboleggiare che poi si mettono veramente intorno intorno”. Roberto: “E l’incenso ?” Emanuela: “L’incenso è un attributo dei Magi. Però a Mezzanotte di Natale si brucia nel focolare e si recita un’orazione segreta”. Annibale: “E qual è ?” Emanuele : “Se è segreta, non si può dire ora, se no porta male. Si dice solo a quell’ora, a mezzanotte, non si può pronunciare, è segreta”. (Registrazione effettuata da Roberto De Simone e da Annibale Ruccello a Grottaglie (provincia di Taranto) il 20 novembre 1977, nel laboratorio di Emanuele Esposito artigiano “puparo” ossia modellatore di figurine presepiali, in Il presepe popolare napoletano di R. De Simone 1998)  😉

– Il sessantottesimo elemento essenziale del presepe è costituito dalla vergine Stefania, che voleva vedere il Teantropo bambino, ma non essendo né sposata, né tantomeno  madre le fu impedito  dagli Angeli, poiché la Vergine Santissima aveva partorito da poco. Stefania prese con se una pietra e l’avvolse in fasce fingendo che si trattasse di suo figlio e riuscì ad entrare nella grotta. Alla presenza della Vergine … la pietra starnutì e nacque Santo Stefano, che è, all’interno del presepe, come pietra e poi bambino,  un elemento che può essere preso assieme o separatamente da quello di  Stefania.

– ”[…] Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: gli angeli, l’inno; i cieli, la stella, i magi, i doni; i pastori, lo stupore ( la meraviglia), la terra, la grotta, il deserto, la mangiatoia: ma noi ti offriamo la Madre Vergine. O Dio che sei prima dei secoli […]”. Il sessantanovesimo elemento del presepe è Lei la “[…] La luminosa nube vivente che porta la pioggia celeste viene per farla stillare sulla terra, e irrigarne il volto. La rondine spirituale che porta in seno la primavera della grazia, per ineffabile disposizione la partorisce, dissipando l’inverno ateo. La reggia pura ed incontaminata introduce in una grotta il Re incarnato .[…]”. https://www.youtube.com/watch?v=QEuvlVve2ys; https://www.youtube.com/watch?v=WokZnpD3DOg&index=17&list=RDMvjiVam2HO4 .

– Il settantesimo elemento è costituito da San Giuseppe[9], che nel presepe è rappresentato sia nella grotta a fianco della Vergine, ma anche fuori della grotta, turbato e pensieroso: “[…] Giuseppe, considerando la grandezza delle meraviglie di Dio, pensava di vedere un semplice uomo in questo bambino avvolto in fasce, ma dai fatti comprendeva che egli era il vero Dio, coli che elargisce alle anime nostre la grande misericordia[…] “.

 –  Il settantunesimo elemento essenziale del presepe è il vecchio tentatore di San Giuseppe, che è il demonio stesso che cerca di insinuare il dubbio nel Santo circa la concezione di quel bambino. Nella tradizione popolare, talvolta, in modo consapevole, gli spettatori delle rappresentazioni popolari danno voce a questo tentatore in modo anche sconcertante: “”[…] N’ata vota a Torre arrivaie Eduardo De Filippo: avisse avuto ‘a vede’ che ddie’ e resate se faceva quanno ‘a gente sfutteva a san Giuseppe: “Oi Pe’, tiene ‘e corna cchiù longhe d’’o Riavulo !”.Nun se rice pe’ male, ma è ‘a tradizione “.(Registrazione effettuata il 28 dicembre 1975 da Roberto De Simone a Torre del Greco, in casa di Elio Polimeno, in Il presepe popolare napoletano di R. De Simone, 1998, pag.89 ). A questo proposito, però, bisogna anche ricordare che nella tradizione medievale anche Mosè era raffigurato con corna tipiche della sua iconografia, quindi il lazzo praticamente “blasfemo” potrebbe essere dettato dall’affermazione di un principio superiore legato alla più che venerabile e unica nell’insieme delle sue “virtù” regali santità di Giuseppe  …

–  Il settantaduesimo ed ultimo elemento essenziale del presepe, dal quale dipendono tutti gli altri,  è il Salvatore delle nostre anime:”[…] il muro di separazione che era frammezzo è abbattuto, la spada di fuoco si volge indietro e i cherubini si ritirano dall’albero della vita: e anch’io godo del paradiso di delizia, da cui ero stato scacciato per la disobbedienza […] Come bimbo neonato è uscito infatti il Verbo dalla montagna della Vergine per riplasmare i popoli”.  “ : la Terra è diventata Paradiso !” https://www.youtube.com/watch?v=cW0h4UucGTI[10] . https://www.youtube.com/watch?v=zEdBhZLPdZw&list=RDrOMvLRCHkTA&index=2 . https://www.youtube.com/watch?v=fBLGvuNYSKM&index=9&list=PLPpNG3s3puaoIXI6vP0lwzxN4r5ykewuO

Altri elementi

–  Il ragno: l’episodio del ragno che salvò il Teantropo Bambino è rappresentato nel presepe. Lì si collega, anche da un punto di vista del simbolismo numerico che vi attribuisce la Smorfia ad una serie impressionante di altri simboli legati ala Natività, cosa che mi stupì non poco. Ho scoperto che il ragno avrebbe salvato la vita al Santo Profeta Davide e al Salvatore delle nostre anime Gesù Cristo e che l’episodio relativo al Teantropo è relativo non ad una grotta, ma ad un sicomoro che si trovava (e nel 1600 fu sostituito con un’altro esemplare) ad Al-Matariyya che ora è stata inglobata dalla città del Cairo e precisamente è diventato uno dei suoi quartieri a nord. La Vergine Santissima si rifugiò nel tronco cavo del sicomoro.

– ://www.youtube.com/watch?v=B1bLxrZEy4g Un personaggio che non appare tra i 72 fondamentali è quello che si mette, talvolta, in rapporto col Cacciatore: il Farmacista “[… Emanuele:  ] “E’ don Crescenzio, lo farmacista. Disse don Crescenzio: Stasera è serata de Dio, / nsce lu veru mierèrico di ogni malatìa”. Annibale: “E si mette la bottega ?”. Emanuele : “ Se il presepe è grande, sì. E’ la bottega di don Crescenzio. Egli la chiude perché è nato il Salvatore che guarisce ogni malatia.” Annibale: “Va in fallimento il farmacista?” Emanuele:”Non scherziamo, questa è una rappresentazione sacra. Vuole significare che il Bambino è il vero medico e la medicina del mondo [ il Farmaco Universale] , di ogni male. Almeno io così credo, perciò si mette don Crescenzio. La scienza Gesù se la mette sotto i piedi [ http://www.youtube.com/watch?v=xDr7fi1gFco ] “  (Registrazione effettuata da Roberto De Simone e da Annibale Ruccello a Grottaglie (provincia di Taranto) il 20 novembre 1977, nel laboratorio di Emanuele Esposito artigiano “puparo” ossia modellatore di figurine presepiali, in Il presepe popolare napoletano di R. De Simone 1998)

– Belfagor. “[…] Chillo, Robbe’, ‘o difficile r’’a Cantata è ‘o pubblico. Pigliate ‘a parta mia,è capace che io traso e recito ‘a primma battuta: “ Tremi il Ciel ! Paventi il Mondo !”, e ‘a vascio v’arriva nu maronn’ ‘e pernacchio. Vuie nun v’avita fa’ smunta’. V’avutate a platea e dicite : “ Neh, figlio ‘ chiaveco, fatte accanoscere !” […]Si ve facite smunta’, si nun sapite rispondere o ve ncazzate, avite passato ‘o guiao ! ‘E pernacchie un ‘a fernescono cchiù. Perciò Eduardo ricette chella battuta […] “ (Registrazione effettuata il 28 dicembre 1975 da Roberto De Simone a Torre del Greco, in casa di Elio Polimeno in Il presepe popolare napoletano di R. De Simone, 1998, pag.89-90).

 

I pasti rituali

“[…] Un tempo il tradizionale cenone di Natale aveva un valore religioso più profondo[…] In esso sono riconoscibili, infatti, diversi elementi che rimandano a una ritualità del pasto in comune, propria delle tradizioni più arcaiche. […] E’ ben noto che la commensalità […] rappresenta […] un sacramento di comunione[…+ Concordando con Raffaeli (Variazioni cit., p.23) osserviamo che il mondo degli dèi, quello degli uomini e quello infero, sono caratterizzati da alimenti particolari, che di solito vengono consumati separatamente nei loro ambiti. Il banchetto stesso, insomma, presuppone una convivialità di scambio fra i soli appartenenti a un’unica comunità, sancisce i limiti invalicabili e rigidi del mondo in cui esso si svolge. Eppure, in particolari condizioni rituali è proprio il convivio, la mensa, a stabilirsi come elemento di scambio con funzione di comunicazione, tra quei diversi mondi tra loro separati e quotidianamente inaccessibili. Nel periodo natalizio , come si è detto, il tempo storico si arresta, determinando quella frattura dei vari livelli separati quotidianamente, per cui il passato convive col presente e il mondo dei defunti e dei demoni coesiste con quello dei viventi. Per tale credenza, il banchetto natalizio presuppone una commensalità rituale mediante la quale è concesso ai vivi di mangiare i cibi dei morti e viceversa. Alla convinzione popolare, secondo cui nei dodici giorni del Natale si attiverebbe al massimo la presenza negativa di forze demoniache, sono riconducibili diversi tabù esistenti sulla carne che è consumabile solo in determinate condizioni. Ancora oggi il pesce costituisce il piatto forte del cenone […] perché secondo arcaiche credenze non è soggetta a essere veicolo degli spiriti maligni […] sarà consentito il consumo di carne animale, ma esclusivamente bianca […] Sul consumo della carne suina il tabù è meno rigido, in special modo della salsiccia (in relazione allo smembramento rituale ) e del prosciutto […] i frutti di mare […+ rimandano all’elemento primordiale[…] Da antiche fonti […] sappiamo che molti cibi graditi ai morti erano costituiti da semi. Oltre il melograno, frutto esemplare in tal senso, pietanze a base di fave o di lupini, consumate in periodi particolari, rappresentano evidentemente dei cibi funerari. Alimento a base di semi è anche tutta la così detta frutta natalizia come mandorle, noci, nocciole, castagne, pinoli [ad essi …] nella favolistica popolare,  sono attribuiti straordinari poteri […] Con ingredienti a base di mandorle e di zucchero sono essenzialmente confezionati i classici dolci natalizi (raffioli, torroni e confetti, pasta di mandorle o pasta reale) Si ha, inoltre, notizia di una particolare pietanza, ritenuta assai gradita ai defunti […] la papparella dei morti [il parallelo con la coliva del mondo ortodosso e ancora presente nel Meridione è quanto mai pertinente …] . Anche nell’area casertana si imbandisce una particolare pappa dei morti detta pastellessa, pietanza rituale che si consuma il giorno di Sant’Antonio [il Grande] […] rappresentativo [… è anche] il susamiello, confezionato con fichi secchi e odorosi semi di sesamo: ingredienti che riconducono al mondo degli inferi [..] “ (Il presepe popolare napoletano di R. De Simone, 1998, pag.43-47).

 “[…] Natale è addore ‘e ncienzo e mandarine, ‘a tumbulella e ‘a menestra mmaretata, che è il piatto natalizio chiù verace, ed è una cosa che ogni famiglia ‘a fa con una ricetta personale. Mammà ‘a fa cu ‘e scarulle, ‘a cecoria, ‘a bietola, ‘e vruoccole e ‘o virzo. Ognuna di queste verdure va bollita separatamente e bon deve cuocere completamente. Si colano le verdure e in un’altra caccavella se mettono vari tipi di carne: na gallina paisana mbuttunata con uova, formaggio, carne tritata, pepe e rosmarino, nu pere ‘e puorco, un piede di maiale, ‘a meza mascella d’’o maiale cu tutta ‘a recchia fatta a pezzetti, ‘o vuccularo e ‘a nnoglia che è un pezzo d’intestino del maiale, riempito di carne a pezzi, ma diversa dalla salsiccia, e pure un pezzo di carne vaccina. Tutte queste carni devono bollire insieme fino a che coceno. Poi si toglie la carne, e nel brodo si mettono tutte le verdure mezze cotte in precedenza, questa volta tutte insieme. Poi si versano tutte le carni e si aggiungono tre uova battute a frittata, il formaggio e il pepe. Si toglie dal fuoco appena ce sta ‘o primmo vuollo, si serve, e vi’ che te mange !  “.(Registrazione effettuata il 28 dicembre 1975 da Roberto De Simone a Torre del Greco, in casa di Elio Polimeno, in Il presepe popolare napoletano di R. De Simone, 1998, pag.90-91. http://it.wikipedia.org/wiki/Elio_Polimeno , interprete del ruolo del Diavolo nella Cantata dei Pastori, opera teatrale,  “fissata” verso la fine Seicento, in cui viene rappresentata, appunto,  la nascita di Gesù. Il documento fu registrato nel corso del pranzo ed esordisce sulla vera “menestra mmaretata” dal profondo significato simbolico natalizio ).

Altri link utili

http://www.facciamoilpresepe.it/

http://www.youtube.com/watch?v=_jVV_xKWTMs

http://www.facciamoilpresepe.it/fiume-simbolismo-paesaggio-del-presepe/  http://www.youtube.com/watch?v=dROYmfAEmxo http://www.youtube.com/watch?v=ls4AG7neaOk http://www.youtube.com/watch?v=hlZtjvNxsIs http://www.youtube.com/watch?v=ls4AG7neaOk .

Presepe in greco :  http://www.youtube.com/watch?v=yPVQlZiz0Kw

http://www.youtube.com/watch?v=Dmev-EREl5A

https://www.youtube.com/watch?v=MvjiVam2HO4&list=RDMvjiVam2HO4&index=1


[1] “[…] Nel cunto di Aniello e Anella il protagonista, dopo aver bevuto a una sorgente incantata, viene tramutato in un agnello e sotto queste spoglie riesce a entrare in contatto col mondo ctonio e ad acquistare capacità divinatorie. Nel vasto repertorio delle ninne nanne dell’area meridionale è assai frequente la lamentazione per una pecorella divorata da un lupo, la cui struttura melodica è identica a quella delle lamentazioni funerarie, in ossequio, all’antichissima credenza popolare che identifica il sonno (ninna nanna) con la morte (lamentazione funebre). Appare, dunque, ampiamente documentato il significato infero delle pecore che a volte simboleggiano le anime dei trapassati dotate di poteri oracolari, a volte sono la rappresentazione di bambini, o di defunti, che corrono il rischio di smarrirsi nelle tenebre del mondo sotterraneo […] “ (op.cit.pag.31) https://www.youtube.com/watch?v=6tIJuisyELU  .

[2]La scena del munaciello della Gatta Cenerentola di De Simone è davvero notevole anche da un punto di vista musicale: dal minuto 3:26 si ode un canto arcaico che ha delle assonanze notevoli con quello romano antico e romano-ortodosso. Inoltre è stato notato, nei ritmi che De Simone riprese per le donne che recitano il rosario, l’assonanza con canti liturgici molto antichi. La fata della Gatta cenerentola del Cunto de’ Cunti di Gianbattista Basile, che è la vera storia di Cenerentola, viene evocata qui, non senza motivo, dal munaciello…

[3] “Che gli dèi antichi diventino in un certo modo dei demòni, è un fatto abbastanza generalmente constatato, e di cui l’atteggiamento dei cristiani nei riguardi degli dèi del “paganesimo” è solo un caso particolare, ma che non sembra esser mai stato spiegato a dovere; non possiamo d’altronde insistere qui su tale punto, che ci condurrebbe fuori tema. Resta inteso che tutto va riferito unicamente a certe condizioni cicliche, e perciò non intacca né  modifica in nulla il carattere essenziale di questi stessi dèi in quanto simboli non temporali di princìpi di ordine sopra-umano, di modo che, accanto a tale aspetto malefico accidentale, l’aspetto benefico sussiste sempre, malgrado tutto, e anche quando è più completamente misconosciuto dalla “gente dell’esterno”; l’interpretazione astrologica di Saturno [ dio decaduto di un’era  trascorsa] potrebbe fornire a questo riguardo un esempio chiarissimo.(René Guénon, Sul significato delle feste carnevalesche) .

[5] “Il timor panicus era nell’antichità lo sgomento che coglieva chi penetrava le selve, le foreste, i luoghi selvaggi in genere, su cui regnava il dio Pan: per questo era usanza non far rumori e schiamazzi e parlare a voce bassa attraversando i boschi “ http://mainikka.altervista.org/tag/timor-panicus/ .

[6]  “[…] L’asino, inoltre, era legato a Saturno, probabile rimando allo stesso Adonai e alla stella d’Israele. Questo spiegherebbe perché, sia pure per disprezzo, alcuni graffiti come quello di Alessameno nel Paedagogium del Palazzo Domiziano sul Palatino, raffigurano Cristo in croce con la testa d’asino. Il paedagogium era una sorta di collegio destinato a istruire i paggi imperiali, schiavi provenienti da classi sociali medio alte […]” http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/L%20asino%20che%20apre%20le%20porte%20di%20Gerusalemme_20140410.aspx?Rubrica=Dentro%20la%20bellezza.

[7] Contro il moralismo e l’ipocrisia ed il perbenismo “ piccolo borghesi “, superficiali, soffocanti, antispirituali e anti tradizionali. In uno scritto di qualche anno fa, uno starez athonita, scrivendo della “theosis”, sottolineò l’incompatibilità di questo fine della vita cristiana, ribadito in modo unanime dai Padri, con il moralismo. Roberto De Simone ha sempre fustigato, d’altro canto, l’oppressione culturale operata, a Napoli, dal perbenismo dei piccoli borghesi e di quelli che da noi si chiamano “pezzent’ sagliut’ “. A questo proposito ho postato, due giorni fa,  un giudizio particolarmente sferzante del maestro a proposito della statuina presepiale del  Cacciatore. Il brano musicale che condivido è, invece, il riassunto, espresso in modo geniale e attingendo al filone più nobile e ricercato dell’antica retorica per paradossale che possa sembrare la cosa, del suo punto di vista in proposito. Perché ci ritorno ?  Perché il secondo coro delle lavandaie che ho postato ieri, a proposito della lavandaia, nasconde molto più di quello che sembra e non lo si riesce a cogliere per due motivi: uno è strettamente musicale, l’altro legato ai doppi sensi – scurrili e potenzialmente blasfemi –  ai quali si espone il testo. Circa il primo aspetto, scrissi qualche giorno fa un commento, questo: https://www.facebook.com/luca.zolli.9/posts/10204268430185238 .  “ [….]  Questo disorientamento, però , sebbene non arrivi ai livelli di corto circuito della musica moderna, non è assente neppure nella musica tonale moderna se raffrontata alla musica modale proprio perché irrigidisce l’improvvisazione e fissa delle variazioni tonali che rendono l’esecuzione, da un punto di vista tradizionale, sempre “[…] debole, imprecisa, esasperante […] “( A. Danielou). La “precisione” imposta da certi strumenti moderni, l’organo ed il pianoforte , invece fanno apparire i suoni della musica tradizionale “[…] brutti e taglienti […] “( A. Danielou). Il “[…] temperamento [ …equabile … ]  è un fenomeno occidentale, il risultato di un particolare approccio musicale (armonico e liberamente modulante), abbinato al desiderio di suonare strumenti ad intonazione fissa (come le tastiere) […] “( Isacoff, 2005). […]  Altrettanto inimmaginabile è il sistema musicale tradizionale disgiunto dall’artigianato e da determinati strumenti musicali antichi se non proprio arcaici, anch’essi parte integrante di un concezione tradizionale della musica stessa e della sua funzione […] . L’altro aspetto, quello non musicale, rientra invece a pieno titolo in quello che Guénon, magistralmente,  definisce come travestimento popolare: http://scienzasacra.blogspot.it/2014/10/rene-guenon-iniziazione-e-realizzazione_7.html  . Il coro ispirato al Cunto dei cunti, vera favola di quella che noi conosciamo come Cenerentola, e nasconde un procedimento incantatorio molto preciso: perché è un Re a volere la lavandaia ? Perché questo Re le promette un mondo nella mano, cosa velata dalla potenza del doppio senso a sfondo sessuale  …. Perché le lavandaie girano in tondo e   alla fine una cade esausta ?

[8] “[…] Ed ecco venir fuori della grotta una bella giovane, che sembrava un gonfalone, la quale gli disse che ringraziava la figlia per la buona memoria e che se la godesse per amor suo. Così dicendo gli diede un dattero, una zappa, un secchiello d’oro e una tovaglia di seta, dicendo che l’uno era per seminare e le altre cose per coltivare la pianta. Il principe, meravigliato di questi doni, si congedò dalla fata e si avviò alla volta del suo paese e, dato a tutte le figliastre quanto avevano chiesto, finalmente consegnò alla figlia il dono che le faceva la fata. La quale, con una gioia che non la teneva nella pelle, piantò il dattero in un bel vaso di coccio; lo zappava, lo innaffiava e con la tovaglia di seta l’asciugava mattino e sera, tanto che in quattro giorni, cresciuto dell’altezza di una donna, ne uscì fuori una fata, dicendole: “Che desideri?” Zezolla le rispose che qualche volta desiderava di uscire di casa, ma non voleva che le sorelle lo sapessero. Replicò la fata: “Ogni volta che ti fa piacere, vieni vicino al vaso di coccio e dì: «Dattero mio dorato, con la zappetta d’oro t’ho zappato, con il secchiello d’oro t’ho innaffiato, con la tovaglia di seta t’ho asciugato: spoglia a te e vesti a me!» E quando vorrai spogliarti, cambia l’ultimo verso, dicendo: «Spoglia a me e vesti a te!»Ora, essendo venuto un giorno di festa ed essendo uscite le figlie della maestra tutte spampanate agghindate impellicciate, tutte nastrini campanellini e collanelle, tutte fiori odori cose e rose, Zezolla corre subito al vaso di coccio e, dette le parole insegnatele dalla fata, fu agghindata come una regina e, posta su una cavalcatura con dodici paggi lindi e pinti, andò dove andavano le sorelle, che fecero la bava alla bocca per le bellezze di questa splendida colomba. Ma, come volle la sorte, capitò nello stesso luogo il re, il quale, visto la straordinaria bellezza di Zezolla, ne restò subito affatturato e disse al servitore più fedele d’informarsi su come poter sapere di questa bellezza, e chi fosse e dove stava. Il servitore le si mise dietro con la stessa andatura: ma lei, accortasi dell’agguato, gettò una manciata di scudi d’oro, che si era fatta dare dal dattero a questo scopo […] “(Dalla Gatta Cenerentola del Cunto de’ Cunti di Giambattista Basile.

[9]  P.S. Devo sottolineare che, nelle immagini associate alla musica dell’Adeste fideles che ho linkato, il gesto che si farebbe compiere al Divino Giuseppe è anticanonico: nessuno mette le mani sulla Vergine e tantomeno l’abbraccia in quel modo che implicherebbe possesso fisico.

[10] “[…] Subito si svegliarono gli uccelli , cantando in una forma tutta nuova […] Nonostante fosse inverno, Bambino bello, spuntarono migliaia di rose e di fiori. Come il fieno secco e tosto, che fu posto sotto di Te, s’ingemmò [ s’infigliulett’ ] , e di fronde di fiori si rivestì. In un paese che si chiama Engaddi [ le vigne di Engaddi del Cantico e riferimento, ancora, alla Sposa del Cantico, cioè ancora  la Vergine: la Terra più lucente del sole …] , fiorirono le vigne e spuntò l’uva. […] Si rivoltò insomma tutto il Mondo […] Non vi spaventate, no! C’è felicità e riso: la terra è divenuta Paradiso […] “ http://www.youtube.com/watch?v=cW0h4UucGTI#t=279 .

 

 

Sabato 13, grande convegno a Roma su: TEMPI ULTIMI e RESTAURAZIONE FINALE

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Convegno Fine dei TempiSabato 13, a Roma, un convegno unico nel suo genere, organizzato dal Centro Studi Internazionali “Dimore della Sapienza”, metterà a confronto esperti Cristiani e Musulmani, insieme a studiosi non aderenti ad alcuna religione, sul tema affascinante e inquietante della FINE dei TEMPI.

Il convegno avrà luogo presso la Libreria-galleria delle arti “L’Universale”, sita in via F. Caracciolo 12 (Metro Cipro), dalle ore 10.00 alle 20.30. L’ingresso é gratuito ed é possibile pranzare in loco previa prenotazione al numero 3297223003.

Il Programma della giornata é visionabile nella locandina. 

 


UNI SEX (nuova edizione). Cancellare l’identità sessuale: la nuova arma della manipolazione globale

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CopertinaL’attacco alla sessualità, nei suoi generi maschile e femminile, rappresenta oggi il più sconcertante tentativo di manipolazione dell’essere umano mai tentato nella storia. In questo saggio (alla sua Seconda Edizione Aggiornata con più del doppio delle pagine) gli autori ripercorrono le tappe più recenti di un processo apparentemente inarrestabile, che sembra invadere ogni aspetto del vivere quotidiano, toccando temi scomodi e drammaticamente attuali:

  • dalle origini del genderismo all’affermazione dell’omosessualismo;
  • dall’omosessualismo alla distruzione delle “identità sessuali”;
  • dalla propaganda alla manipolazione dei media;
  • dall’attacco ai termini “madre e padre” all’imposizione della “cultura gay” nelle scuole;
  • dalle connivenze della politica alla legislazione liberticida e alla repressione del dissenso;
  • dagli uteri “in affitto”  allo sdoganamento della pedofilia.

 

 

 

INDICE DEI CAPITOLI E DEI PARAGRAFI:

Premessa……………………………………………………………………………………………………….7
Capitolo 1 – Manipolare l’uomo: l’ultimo “sogno”
dei poteri forti?…………………………………………………………………………………15
Il benessere in cambio della libertà…………………………………………………………17
Se le oligarchie economiche “tifano” gender…………………………………………..23
Anche i poteri politici “tifano” per il gender……………………………………………26
La Casa Bianca in prima fila a sostegno del gender…………………………………28
Perché i Poteri forti ci vogliono “gender”?………………………………………………30

 
Capitolo 2 – Storia dell’ideologia di genere. Dalla
“rivoluzione sessuale” agli esperimenti di John Money…………35
Alfred Kinsey, da entomologo a padre della rivoluzione sessuale………….36
Il ruolo di Heffner……………………………………………………………………………………39
Kinsey tra masochismo e pedofilia………………………………………………………….41
L’ossessione per Crowley ………………………………………………………………………42
John Money e l’invenzione del gender …………………………………………………..45
Il caso di David/Brenda Reimer………………………………………………………………48
Corsi e ricorsi storici………………………………………………………………………………54
Il termine “gender” finisce all’ONU…………………………………………………………56
Anche l’ONU “tifa” gender………………………………………………………………………56
Anche l’UNICEF si schiera………………………………………………………………………59

 
Capitolo 3 – Ideologia gender e “omosessualismo”…………………….65
La guerra contro gli psichiatri ………………………………………………………………..65
Strategie di “propaganda gay” per le masse:
desensibilizzazione, bloccaggio, conversione……………………………………………67
Capitolo 4 – Il bipensiero al servizio del gender.
L’invenzione della “neolingua”……………………………………………………..71
Dal bipensiero alla neolingua gender……………………………………………………….71
Quando dire “mamma e papà” è discriminazione …………………………………75
4.3. Il governo italiano “riscrive” l’italiano………………………………………………78

 
Capitolo 5 – Operazione propaganda: moda, tv,
musica e cinema……………………………………………………………………………….81
Mass media e “star” in campo per la manipolazione………………………………82
Il fenomeno Lady Gaga …………………………………………………………………………..84
Madonna sogna un mondo nuovo…………………………………………………………..87
L’estetica dandy nella moda ……………………………………………………………………87
Nomi “unisex” per i figli delle star!…………………………………………………………88
Serie TV “politicamente corrette”…………………………………………………………..89
Polemiche a Sanremo………………………………………………………………………………93
Pandroginia………………………………………………………………………………………………96
A Parigi sfila la moda unisex……………………………………………………………………97
La pubblicità al servizio della gay economy …………………………………………….98

 
Capitolo 6 – Boicottaggio vip: quando le star compiono
uno psicoreato………………………………………………………………………………….103
Alain Delon scandalizza la Francia ………………………………………………………..103
Lo scandalo Barilla ………………………………………………………………………………….104
Tocca a Dolce & Gabbana ………………………………………………………………………107
Le voci fuori dal coro………………………………………………………………………………111

 
Capitolo 7 – A scuola di “gender”: se la manipolazione
arriva nelle aule………………………………………………………………………………..117
Una riforma “gay” per le scuole d’Europa………………………………………………118
Gay e addizioni: il “gender” conquista la scuola britannica …………………….119
Nelle scuole francesi le “signore” hanno il “pistolino” ………………………….121
Anche l’Italia è pronta ad “allinearsi” ……………………………………………………..123
L’autoerotismo entra nel programma scolastico …………………………………..125
Gli asili come terreno di conquista ………………………………………………………..126

 
Capitolo 8 – Dalla propaganda alla repressione:
verso il “totalitarismo gender”……………………………………………………..131
L’invenzione dell’“omofobia”…………………………………………………………………..132
Le “violenze omofobe”: realtà e montatura di un mito mediatico…………134
In Germania e in Inghilterra scattano le manette!………………………………….135
La “ghigliottina gender” sulla Francia di Hollande ………………………………….137
La “guerra fredda del gender” contro la Russia ……………………………………..140

 
Capitolo 9 – Ideologia gender e pedofilia……………………………………….145
Modificare la percezione pubblica sulla pedofilia …………………………………..147
Ancora Kinsey ………………………………………………………………………………………..148
Quando Money sognava di legittimare la pedofilia ………………………………..149
Gli ambigui rapporti tra movimento omosessualista e pedofilia …………..151
Per i Radicali italiani la pedofilia è un “orientamento sessuale” ……………152
L’educazione sessuale secondo l’OMS……………………………………………………156
In principio fu Brooke Shields ………………………………………………………………..158
Hollywood, la Mecca dei pedofili ………………………………………………………….163
Musica………………………………………………………………………………………………………165
Dalle modelle bambine alle bambole per pedofili …………………………………168

 
Capitolo 10 – L’età ibrida del transumanesimo…………………………..175
Il “mistico sogno” di oltraggiare la natura ……………………………………………..175
Un Frankenstein sessuale: l’invenzione del “sesso X” ……………………………177
Dall’eugenetica all’estinzione della sessualità ………………………………………..179
Platone: l’amore come “mancanza” ………………………………………………………..182
L’androginia come coincidenza degli opposti………………………………………….185
Un mezzo per il controllo della popolazione ………………………………………..188
Verso l’uomo artificiale …………………………………………………………………………..190

 
Capitolo 11 – Orizzonte post-umano. Destinazione,
l’uomo OGM……………………………………………………………………. 195
Capricci da star ………………………………………………………………………………………197
Se fare figli è un lusso per pochi …………………………………………………………….200
Il businness delle madri surrogate …………………………………………………………..202
L’utero artificiale …………………………………………………………………………………….205
L’uomo nuovo …………………………………………………………………………………………209
Abolire la Natura…………………………………………………………………………………….212

 

Roma -Sabato 17, ore 18.00: presentazione di UNI SEX

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UnisexLa nuova edizione di UNISEX -il più documentato saggio sull’ideologia gender pubblicato in Italia- finalmente presentata a Roma.

Sabato 17 Ottobre 2015 – presso Caffé Letterario “L’universale” -Via Caracciolo 12, (zona San Pietro), Roma.

Inizio dell’incontro alle ore 18.00

Presenteranno: Gianluca MARLETTA; Avv. Giorgio VACCARO. Modera l’incontro Dario Grilli, presidente del comitato Alia – Diritti per Natura.
A seguito: aperitivo con l’autore.

Tempi Ultimi e Restaurazione Finale, Editrice Irfàn

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Tempi Ultimi e restaurazione finaleUn’opera unica, un saggio affascinante che mette insieme, per la prima volta, contributi di studiosi cristiani e musulmani sul tema della fine dei tempi. La crisi finale e i segni della Fine, l’allontanamento dal Divino e la Grande Apostasia, l’attesa del Mahdi e il ritorno di Cristo, la resurrezione dei corpi in chiave teologica e nell’ottica metafisica. Contributi di Paolo Rada, Nuccio D’Anna, Gianluca Marletta, Alberto Perani, Demetrio Giordani, Eduardo Ciampi, Mario Polia, Giuseppe Aiello, Ali Reza Jahali, Ghorban Alì Pourmarjan.

 

 

 

Indice dell’opera:

Paolo Rada
Regressione delle caste e dissoluzione finale

Edoardo Ciampi
Orizzonti ecumenici di fine Kali Yuga

Nuccio D’Anna
La IV Egloga di Virgilio e il rinnovamento del mondo

Gianluca Marletta
Fine dei Tempi e Resurrezione dei morti nella Rivelazione cristiana

Alberto Perani
Cieli e Terra Nuova: l’escatologia cristiana in Silvano Panunzio

Demetrio Giordani
Il Mahdi e Gesù figlio di Maria. I segni della fine dei tempi nelle fonti dell’Islam sunnita

Ghorban Alì Pourmarjàn
La dottrina del Mahdi nella storia politica contemporanea dell’Iran

Mario Polia
Apocalissi e libero arbitrio

Giuseppe Aiello
L’Attesa dell’Alba: l’uomo e la società alla fine di un mondo

Recensioni:
Ali Reza Jahali, I fanatici dell’Apocalisse (di Maurizio Blondet)
Eduardo Ciampi, L’ultima Notte del mondo (di C.S. Lewis)

Riflessione sul Vegetarianesimo (ma anche sulla Legge del Sacrificio e sul senso profondo dell’esistenza)

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Sacrifice_Pothos_Painter_Louvre_G496Sollecitato più volte, provo a fare qualche riflessione riguardo alla questione del Vegetarianesimo (e,  prendendo spunto da essa, anche su questioni un tantino più profonde, come la Legge del Sacrificio che pervade ogni aspetto di questa realtà) e persino sul senso dell’esistenza dell’uomo in questo mondo.

Personalmente, conosco molti  vegetariani e questo non mi crea problemi, almeno nella misura in cui tale atteggiamento non sfocia in un fanatismo sentimentali stico e aggressivo. Del resto, si può essere vegetariani per vari motivi. Anche i monaci cristiano-ortodossi, mi dicono, lo sono (ma dietro tale scelta non c’è alcuna motivazione “emotiva”, ma una ragione “tecnica”: certi cibi, la carne su tutti, hanno effetti “sottili” che possono ostacolare un certo cammino di contemplazione). Trovo invece discutibile e un po’ stucchevole il moralismo che punta l’indice contro “l’assassinio” degli animali e il fatto che essi vengano “sacrificati” per il nostro piacere. Ecco: in questi casi, credo che bisogna chiarire alcuni termini della questione.

Caro Vegetariano,

fermo restando che non andrebbe mai inflitta una sofferenza immotivata a qualsivoglia essere, qui secondo me ti sfugge un aspetto della Realtà in quanto tale. Ci piaccia o meno, infatti, esistere vuol dire già di per se immolare altri esseri al sacrificio.

Ultima cenaLa realtà stessa di questo mondo è dominata dall’occulta Legge del Sacrificio, che si traduce necessariamente in una forma di “violenza” e nell’immancabile “sofferenza” che essa provoca.

Nascere vuol dire infliggere sofferenza e dolore a nostra madre e immolare il suo sangue; coltivare una pianta e poi estirparla dal terreno è già un atto di “violenza”; camminare vuol dire calpestare e colpire la terra; consumare qualsiasi cosa vuol dire, già di per se, sottrarla ad un altro essere.

Ogni atto che compiamo in questo mondo proietta dietro di se un’ombra.

Chi mai ha pensato, portando all’altare la propria moglie, che in quel momento, forse, sta letteralmente “spezzando il cuore” (sta conducendo al sacrificio) altri uomini che vorrebbero stare al proprio posto e che quella stessa donna desiderano e forse amano esattamente come lui?

Ed elevandoci ad un piano superiore: forse che il Cristo all’atto di andare in croce non è cosciente di sacrificare, oltre che se stesso, anche le anime di coloro che umanamente lo amano, quelle dei suoi discepoli sgomenti, dei suoi fedeli scandalizzati, di sua madre piangente?

Questo avviene necessariamente perché il mondo in cui viviamo –la dimensione temporale dominata dal tempo, dalle nascite e dalle morti- NON è il Paradiso, ma tutt’al più  solo una sua ombra fugace. Nella dimensione edenica e paradisiaca, gli esseri manifestano ed espandono la loro natura in tutte le sue modalità e in armonia perfetta con gli altri esseri (essendo ogni essere nient’altro che una manifestazione particolare dell’Uno), ma in questo mondo della “divisione” e del polemos, del divenire e del conflitto permanente, questo non può avvenire.

Le immagini dell’orca che fa a pezzi un cucciolo di foca, del lupo che divora l’agnellino indifeso, potranno anche apparire crudeli ai nostri occhi, ma rispondono in realtà ad una spinta necessaria che ha lo scopo di innalzare gli esseri per ricondurli al loro Principio.

“La creazione geme” scrive San Paolo, perché ogni aspetto di questo mondo (o meglio, di questo piano della realtà) implica combattimento e sacrificio; e tutti i sacrifici –letteralmente il “diventare sacro”- hanno come scopo di riportare all’Uno ciò che qui appare “sparso”.

Questo non deve “scandalizzare” e non deve confondere.

Come i chicchi dell’uva devono essere schiacciati e spremuti per dare vita ad un buon vino, così è degli esseri che popolano il mondo.

Olocausto biblicoPer l’uomo, che è Immagine divina, questo può avvenire direttamente, conformandosi ad una Legge Sacra e così giungendo alla salvezza e poi alla realizzazione spirituale; per gli altri esseri, al contrario, esso avviene attraverso il passaggio ad altri stati dell’essere o attraverso la partecipazione e la vicinanza all’uomo (credete forse che solo “per caso”, molti animali ricerchino la vicinanza di uomini santi, come dimostrano innumerevoli aneddoti riguardo alla vita di San Francesco, Sant’Antonio o San Serafino di Sarov?).

Il ruolo dell’uomo, da questo punto di vista, dovrebbe  essere (purtroppo non sempre lo è!) proprio quello di “riunire in se”, come Immagine di Dio, ogni aspetto della creazione: diventare pontifex, riportare il creato al suo Principio.

Non è forse questa, tra l’altro, l’occulta ragione dei sacrifici di sangue che tutte le Tradizioni antiche celebravano?

Ma per compiere tale gesto –che è poi il Sacrificio Supremo- l’uomo dev’essere davvero Immagine del Creatore e cioè santo.

“Tutta la creazione attende la rivelazione dei figli di Dio” scrive sempre San Paolo.

Un sapiente sacerdote, mi disse una volta:

“all’atto della resurrezione del santo, risorgono con lui anche gli esseri di cui si è nutrito”.

Cosa vi ispira questa immagine? Vi fa cogliere un certo aspetto “sottile” della realtà, indipendentemente dal fatto che la vogliate intendere in senso letterale o come “metafora” o come simbolo?

Pertanto, caro vegetariano e anche voi cari carnivori,

il vero nocciolo della questione non sta tanto nel consumare bistecche o tofu, kebab o riso in bianco. Come mi disse tempo fa uncaro e sapiente fratello, la vera domanda da porsi dovrebbe essere:

“tu che stai mangiando costolette d’agnello o pane di segale: cosa stai facendo affinché questi sacrifici che compi nutrendoti non siano vani? La tua vita è abbastanza umana (e di riflesso santa e divina) da meritare questo sacrificio?.

Minacce “gaye” agli autori di UNISEX: “bruciamo il libro e gli autori in piazza!”

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donna-incazzataBruciare i libri! Bruciare gli autori! Bruciare! Bruciare! 

Sono le ricorrenti “argomentazioni” che i militanti gay ed LGBT proferiscono all’indirizzo del nostro saggio UNISEX e di noi autori. Inutile ricercare una qualche “elaborazione cognitiva” più complessa: i militanti del progresso e della libertà non sembrano affatto capaci di strutturare un pensiero critico che vada al di la della reazione “di pancia”, della rabbia o dell’odio cieco e schiumante! A perpetua memoria per i posteri, qui di seguito una breve raccolta delle principali “chicche” postate in questi mesi sul web; e tu lettore non adirati inutilmente, solo prendine atto e poi “guarda e passa”. 

Fusaro - bruciare le copie

 

La prima chicca che presentiamo data 1 settembre 2015 ed é a firma di Mariano Fusaro, noto esponente tollerante&rispettoso-delle-differenze dell’Arcigay di Napoli, che si impegna davanti a tutti gli uomini di buona volontà a “bruciare tutte le copie di Unisex che gli capiteranno per mano”.

 

 

Giuseppina Spisso - non esce vivo

 

Dalla stessa area geografia (provincia di Salerno), un’altra esponente del pensiero libero&democratico, tal Giuseppina Spisso, intima al sottoscritto (Gianluca Marletta) di “non mettere piede nella sua zona (sua di chi?) altrimenti non uscirà vivo”.

 

 

Riccardo pas - bruciare il libro e i suoi creatori

 

 

Tal Riccardo Pas, dalle pagine di un gruppo “pro matrimoni gay”, si spinge ancora oltre e invita a bruciare non solo i libri maledetti ma, in un’impeto di zelo progressivo, anche i loro autori…

 

 

 

 

 

La VAle - bruciarli in piazza

 

 

…mentre la più “mite” signorin* La Vale spinge solo a bruciare i libri (ma risparmia -forse?- noi autori). Troppa grazia, signorin*!

 

 

 

 

La raccolta é ben lungi dall’essere esauriente, ma noi non abbiamo tempo prezioso da perdere in queste cose. Se ci siamo decisi a pubblicare questi screenshot fra i molti altri é solo a testimonianza per chi li vedrà. Il volto più autentico dei magnifici&progressivi militanti delle “libertà” é questo ed é giusto saperlo. Per il resto, “non ti curar di lor ma guarda e passa”.

 

“Nemmeno un capello del vostro capo”. Metafisica della Resurrezione dei corpi

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resurrezione dei corpi. 1Pur essendo dogma del Cristianesimo e delle altre religioni abraminiche – presente tra l’altro, benché in prospettive diverse, anche in altre tradizioni spirituali- la dottrina della Resurrezione dei Corpi solo di rado viene inquadrata in quell’ottica metafisica che sola potrebbe farne intendere il senso più profondo. Questa è la ragione per cui tale dogma sembra essere diventato oggi quasi incomprensibile alla maggior parte dei nostri contemporanei, e viene  visto, anche dalla maggior parte dei teologi, in maniera “mitologica” (ovvero come ritorno dell’essere ad un’esistenza fisica identica a quella presente), o puramente metaforica, quale simbolo di una possibile “sopravvivenza” della nostra “individualità” dopo la morte fisica.

INDIVIDUALITA’ E PERSONALITA’

Riguardo al concetto di “individualità” e all’idea che essa possa “sopravvivere alla morte”, d’altronde, è necessario più che mai essere chiari con i termini perché, se considerata in una prospettiva puramente temporale, è evidente che la nostra “individualità” –intesa nell’accezione “psicologica” con cui di solito la si indica- non è meno evanescente e transeunte dello stesso corpo fisico e, come quest’ultimo, sottoposta a continui cambiamenti e trasformazioni che ne inficiano ogni illusione di “unità”.

Al contrario, da una prospettiva non più temporale ma metafisica, l’individualità umana è realmente, almeno sul suo piano specifico, qualcosa di reale, essendo il riflesso di una Personalità spirituale non legata al piano del divenire. La nostra Persona, in sostanza, realizza e manifesta delle Possibilità particolari e uniche che non sono affatto il risultato di eventi esterni (i quali agiscono sono “in negativo” come privazione) ma di un’Archetipo presente nello stesso Principio divino. La nostra individualità temporale e transeunte, pertanto, non è altro che il riflesso nel tempo di una Possibilità che la precede: possibilità che deve passare dalla potenza all’atto. Alcune di queste possibilità si realizzeranno, mentre altre rimarranno solo “virtuali”: e questo dipende, nel concreto, sia dai condizionamenti esterni in cui il nostro essere si manifesta, sia per effetto delle scelte della nostra volontà. Al momento in cui, con la morte fisica, questa manifestazione “in divenire” si interrompe, l’insieme delle possibilità che si sono realizzate costituisce “l’aspetto” con cui l’essere umano si presenta alle soglie dell’eternità.

RESURREZIONE, OVVERO SUPERAMENTO DEL TEMPO

E’ nel cambiamento di stato tra dimensione temporale e atemporalità che si pone, dunque, ciò che chiamiamo Resurrezione. Con il passaggio dalla modalità temporale a quella non più temporale (passaggio che normalmente coincide con la morte fisica), l’individualità non ha più possibilità di mutare: fuori dal tempo, tutte le possibilità realizzate appaiono non più in una indefinita successione, ma coesistenti nell’identico Istante. Ed è lì che, al cospetto della Presenza Divina, avviene quel grande discernimento tra possibilità “positive” e “negative” che il linguaggio religioso definisce Giudizio. Al cospetto della Presenza Divina, infatti, la manifestazione degli esseri “eternati” nelle loro possibilità non è identica: ed è questo il “terribile discernimento”, di cui parla il linguaggio religioso, tra salvati, dannati e chi, pur avendo conseguito la salvezza, dovrà comunque “consumare” dolorosamente certe possibilità negative in quel prolungamento postumo che la tradizione cattolica definisce Purgatorio. Da questo punto di vista, è assolutamente pertinente la verità celebrata nella liturgia cristiano-orientale che afferma che, al momento del Giudizio, “la stessa fiamma irrora di rugiada i santi ma brucia gli empi”[1].

Solo in questa prospettiva, pertanto, assumono un significato intellegibile espressioni come quella presente nell’Apocalisse in cui si afferma, in riferimento alla condizione post-mortem degli individui, che “le loro opere li seguono”[2]; o l’espressione, apparentemente paradossale, in cui il Cristo promette che “nemmeno un capello del vostro capo perirà”[3]. L’espressione è solo in apparenza assurda (i “capelli” sono quanto di più effimero possa esserci nel nostro corpo, visto che essi cadono e ricrescono continuamente), ma è assolutamente reale se si comprende che ogni possibilità realizzata nella nostra esistenza –financo le possibilità attinenti alla dimensione corporea- non vengono in alcun modo “cancellate”, ma permangono nella modalità a-temporale determinando il destino postumo della creatura[4].

In questa stessa prospettiva, assume un significato ben più profondo anche l’idea della “remissione dei peccati”, che nel linguaggio teologico o devozionale é intesa semplicemente come il “perdono” da parte della Divinità per un atto commesso contro la Sua legge, ma che é in effetti molto di più: il “peccato” -ovvero la possibilità negativa manifestatasi nell’esistenza di un essere- pur essendo “avvenuto” nel divenire temporale viene al contrario cancellato nella Realtà Principiale; esso, in effetti, si può dire a rigore che non é mai esistito, perchè Dio stesso, al di la del tempo, annienta quel particolare “accidente” manifestatosi nell’esistenza di quella particolare creatura.

RESURPurgatorioREZIONE DEI CORPI E FINE DEI TEMPI

Da quanto è stato detto, si evince anche il perché del collegamento –presente di continuo nelle Scritture- tra l’evento della Resurrezione dei corpi e quello della Fine dei Tempi. Ciò che si è detto in merito al Giudizio Individuale, infatti, può riferirsi analogamente anche Giudizio Universale, con l’unica differenza che, in questo caso, il passaggio dal tempo al non-tempo, dal divenire all’Istante, non riguarda più il singolo individuo, ma l’insieme di “un mondo”.

Per questo alla Fine dei Tempi (ovvero al termine di quel processo di divenire che in termini profani chiamiamo “storia”) tutte le possibilità realizzatesi devono necessariamente ritrovarsi nell’atemporalità, comprese quelle particolari possibilità che costituiscono l’esistenza corporea dei singoli individui. Da ciò si evince come sia possibile che, all’atto del Giudizio Universale, le anime si riuniscano ai loro corpi, ovvero alle possibilità corporee realizzatesi durante l’esistenza e che adesso appaiono co-esistenti fuori dal tempo.

Vien da se, in ogni caso, che le possibilità psico-fisiche dell’essere umano nella condizione del risorto non sono limitate esclusivamente a quelle realizzatesi sul piano terreno: le possibilità terrene “trasfigurate”, infatti, sono solo un aspetto delle indefinite potenzialità e delle modalità possedute dal Beato, la cui condizione è assolutamente identica a quella dell’Uomo Primordiale precedente la “caduta”, con l’unica differenza che tali esseri (ormai “salvati”) non potranno più “ritornare” o “ricadere” nella condizione temporale e mortale.

I “RISORTI IN VITA” E LA RESURREZIONE DI CRISTO

Quello che per la maggior parte degli esseri umani “salvati” avviene solo nel post-mortem, o addirittura alla Fine dei Tempi, per certi esseri spiritualmente realizzati accade, al contrario, già nel corso dell’esistenza terrena. Nella Bibbia sono noti i casi del patriarca Enoch e del profeta Elia (assunti in cielo con il corpo senza dover passare dalla morte); poiché per un essere che ha già in questa esistenza realizzato la “vittoria sul tempo e sul divenire”, é evidente che non esiste più un prima e un dopo. Per tali esseri, se si può dire, la Resurrezione é già avvenuta ed essi rimangono in questo mondo esclusivamente nella misura in cui hanno una missione o un mandato divino da compiere.

Il Cristo Gesù, inviato per salvare e liberare l’uomo, deve al contrario ripercorre in Se Stesso tutte le fasi del cammino che l’uomo compie nella via della divinizzazione (pur non avendo in sé il Cristo alcun “bisogno” di percorrere tali tappe). All’atto della Sua Resurrezione, il Cristo si manifesta in primo luogo proprio come “vittorioso sul tempo” (e il tempo non é che uno dei nomi della morte); Egli può, a suo piacimento, comparire ai discepoli in tutte le forme possibili della Sua individualità: giovane o adulto, sano o piagato dalla dolorosa Passione, perché tutte le possibilità della Sua esistenza coesistono ormai nell’Istante atemporale.

 

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[1] Anthologhion, Memoria della Dormizione della Santissima Madre di Dio, Grande Vespro: “Il potentissimo angelo di Dio mostrò ai fanciulli come la fiamma irrorasse di rugiada i santi e bruciasse invece gli empi”.

[2] Apocalisse 14, 13

[3] Luca 21, 18

[4] “I diversi oggetti della manifestazione, inclusi quelli della manifestazione individuale, non vengono distrutti, ma sussistono in modalità principiale, essendo unificati proprio dal fatto che non sono più concepiti nell’aspetto secondario o contingente di distinzione (…). E’ questo che permette la trasposizione in senso metafisico della dottrina teologica della resurrezione dei morti, come anche del concetto di ‘corpo glorioso'; quest’ultimo, peraltro, non é un corpo nel senso proprio della parola ma la sua ‘trasformazione’, (…) in altre parole é la ‘realizzazione della possibilità permanente e immutabile di cui il corpo non è che un’espressione passeggera, in modalità manifestata”.
(René Guénon, “L’uomo e il suo divenire secondo il Vedānta”). Inizio modulo

 

Elohìm, Ruach, Kavod. Ennesima confutazione dell’ipotesi “aliena” di Biglino/Sitchin

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ABRAMO-E-ALIENI-e1417457910883Il Dio non alieno della Bibbia. Confutazione alle affermazioni di Sitchin e Biglino

(Fonte: Alieni nella Bibbia )

Introduzione

È ormai da cinquant’anni che vari “studiosi” della Bibbia (soprattutto dell’Antico Testamento), tra cui Rael, Sitchin e Biglino, portano alla luce la sensazionale “scoperta” secondo la quale il Dio di cui la Bibbia parla sarebbe in realtà un alieno venuto sulla terra per manipolare il gene umano. Ora, sebbene a molti questo appaia di per sé davvero una deformazione in stile azimoviano di ipotesi leggendarie oramai in circolo da un po’, molti hanno voluto prendere sul serio questa teoria, e, come una volta disse un noto pensatore, ci ritroviamo a sforzarci per dimostrare che 2+2 fa 4.

Ora, prima di iniziare a scrivere la vera e propria confutazione, il lettore onesto mi conceda una domanda: come mai, in tutti i secoli che sono passati dalla stesura del testo ebraico fino ad oggi, nessuno, fino alla metà dello scorso secolo, ha mai ipotizzato che il testo originale indicasse delle civiltà aliene? Eppure, la Bibbia è passata in mano davvero a molti, tra “eretici” ed “ortodossi”, e né da una parte né dall’altra nessuno si è mai sognato di leggere in quelle righe qualcosa che potesse anche lontanamente ricordare tutto il costrutto ufologico che questi studiosi hanno solo recentemente scoperto. Dunque, quale grande rivelazione hanno davvero dato?

Detto ciò, si passi ad esaminare i punti che uno di questi “innovatori”, il sig. Mauro Biglino, ha nel tempo sviluppato.

– Pluralità e singolarità: Elohim e Yahweh –

Il sig. Biglino afferma che Elohim è un nome plurale indicante il “gruppo” di extraterrestri al quale apparterrebbe Jahweh, il quale dunque sarebbe “uno degli Elohim”. A confutazione di quanto sovra scritto, possiamo prendere in considerazione sia alcuni dati di fatto che un confronto con due versetti della Torà stessa. Innanzitutto, dobbiamo tenere a mente il fatto che, all’interno dell’Antico Testamento, il termine Elohim (che ha una forma plurale), qualora indichi il Dio di Israele, è sempre accompagnato da attributi e verbi al singolare. Le uniche due eccezioni (per quello che io ho contato, ma potrebbero essercene altre) sono una in un discorso di Abramo ad Abimelec[1], ed un’altra nella spiegazione dell’origine del nome del luogo noto come Betel[2].

Quando Dio mi fece andare […] (Genesi xx,13); […] perché là Dio gli era apparso (Genesi xxxv,7).

Nel caso della prima, essa è esplicabile semplicemente osservando che, essendo Abimelec un politeista, con buona probabilità Abramo stia qui parlando di “dèi”, in modo da adattare il proprio parlare al suo interlocutore.

Nel secondo caso, la cosa è ancora più semplice: nella visione descritta nel capitolo xxviii della Genesi, Giacobbe vede non solo Dio, ma anche una scala con degli angeli che vi salgono e vi scendono. Siccome il termine Elohim, quando trattato al plurale, può indicare non solo gli dei pagani, ma anche angeli o uomini potenti (vedi ad es. Salmo lxxxii, 6), è probabile che il significato corretto della frase sia:

[…] perché là gli angeli si rivelarono.

Possiamo inoltre prendere in considerazione il fatto che altri termini, in ebraico, sono in forma plurale ma valgono come un singolare: tra questi, ricordo hayim (vita), rahamim (misericordia), betulim (verginità) e ba’alim (padrone). Tutti questi termini, sebbene abbiano una forma grammaticalmente plurale, sono semanticamente singolari.

Analogamente, esistono anche parole singolari che possono riferirsi ad un plurale (in un modo simile ai nostri collettivi), come ‘es (albero/alberi), ‘of (volatile/volatili).

Passiamo ora a confrontare due versetti. Il primo è Deuteronomio iv,35:

Ti sono mostrate queste cose affinché tu sappia che il Signore (y-h-w-h) è Iddio (ha-Elohim), non c’è alcun altro (Deuteronomio iv,35)

Facciamo una analisi delle parole ebraiche “alla lettera” (così come suggerisce Biglino stesso):

atah pron. pers. 2a pers. sing. masch. Tu
har’eta passivo 2a pers. sing. masch. dalla radice r-’-h (vedere). ti è stato mostrato
lada’at infinito costruito con l (per) + infinito attivo da y-d-’ (sapere) per sapere
ki congiunzione che
y-h-w-h nome proprio il Signore
hu pron. pers. 3a pers. sing. masch. egli (è)[3]
ha-Elohim art. det. + nome (Elohim) Iddio (lett.: il/gli Elohim)
ein costruzione non c’è
‘od avverbio ancora
milbado preposizione + pron. suff. 3a pers. sing. masch. oltre a lui.

Osserviamo che qui la parola Elohim presenta un articolo determinativo, il che intensifica il fatto che Jahweh è Elohim. Con ciò, non si creda che, avendo l’articolo, Elohim non possa essere tradotto “Dio”: in greco antico, nel Nuovo Testamento, Dio è reso sia con theos (Dio) che con ho theos (il Dio); in italiano, l’espressione Iddio viene proprio da il Dio, e l’arabo Allah verosimilmente deriva dall’unione dell’articolo determinativo al- e il sostantivo ilah (divinità).

Il secondo esempio è Deuteronomio vi,4:

Ascolta, Israele, il Signore (y-h-w-h) è il nostro Dio (Eloheinu), il Signore (y-h-w-h) è uno solo (Deuteronomio vi,4)

Osserviamo di nuovo la costruzione letterale:

shema’ imp. attivo 2a pers. sing. masch. Ascolta
Yisra’el nome proprio Israele
y-h-w-h nome proprio il Signore (y-h-w-h)
Eloheinu nome (Elohim) + pron. suff. 1a pers. plur. il nostro Dio (il/i nostro/i Elohim)
y-h-w-h nome proprio il Signore (y-h-w-h)
ehad aggettivo numerale cardinale masch. sing. uno solo

Qui, Elohim è unito al pronome suffisso, ovvero ad un genitivo.

– Ruah, Kavod –

Biglino afferma che Ruah (generalmente tradotto con “spirito”) indicherebbe un oggetto che si muove nell’aria, mentre Kavod (generalmente tradotto con “gloria”) indicherebbe un oggetto pesante. Così, lo “Spirito di Dio” e la “Gloria di Dio” sarebbero delle astronavi! A confutazione di ciò, mi limiterò a citare i seguenti versi.

Per quel che concerne Ruah:

E lo ha riempito con lo Spirito (ruah) di Dio […] (Esodo xxxv,31)

E Giosuè, figliolo di Nun, era pieno dello Spirito (ruah) di sapienza […] (Deuteronomio xxxiv,9)

[Dio disse:] Io spanderò il mio Spirito (ruah) su ogni carne, ed i tuoi figli e le tue figlie profetizzeranno (Gioele ii,28)

Prego chiunque di dimostrarmi come i precedenti versi possano essere associati ad un velivolo.

Per quel che concerne kavod:

Quant’è vero che io vivo, la terra sarà ripiena della gloria (kavod) del Signore (Numeri xiv,21)

Ecco, il Signore ti ha tenuto alla larga dall’onore (kavod) (Numeri xxiv,11)

Signore, tu sei la mia gloria (kavod) (Salmi iii,3)

Perché Dio ha incoronato l’uomo con gloria (kavod) ed onore (Salmi viii,5)

Date al Signore gloria (kavod) e potere (Salmi xxix,1)

Ancora, si applichino, se possibile, i precedenti versi ad un’astronave. Si tenga peraltro conto che essi sono solo alcuni dei tanti analoghi.

[1] Genesi xx,13.

[2] Genesi xxxv,7.

[3] Dal momento che, al presente, il verbo essere è per lo più escluso, si usa inserire il pronome personale di terza persona per rafforzare il valore di predicato nominale della frase.

 


“Ogni uomo é inganno”. Riflessioni su individualità umana e Assoluto

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vite e tralciOgni essere individuale, preso singolarmente e separatamente, non può essere nient’altro che la manifestazione di uno “squilibrio”, a sua volta figlio di una mancanza e di un’insufficienza. L’individuo, per definizione, non “basta a se stesso”, non è “fine a se stesso” e non può nemmeno essere definito in quanto tale senza riferimenti a lui esterni che lo limitano e relativizzano. E’ la pretesa dell’individuo di mangiare il frutto dell’albero del “bene e del male”, infatti, a scacciare l’uomo dal Paradiso.

Per questo motivo, l’essere individuale può realizzarsi solo ed esclusivamente nell’Unione con l’Essere Supremo e Universale, la Divinità (“voi siete i tralci ed Io la vita” dice il Signore Gesù; e la forza che contrasta questa realizzazione, qualunque sia il volto che usiamo dargli o la sua particolare apparenza, non a caso porta il nome di “divisione”, di “separazione” (dia-ballo=diavolo).

Questa realizzazione, pertanto, è possibile solo a partire da quella che, nella prospettiva individuale, sarà vista come una “morte”: essa passa, come tappa fondamentale e ineludibile, dalla mortificazione dell’obbedienza, dalla rinuncia alla propria “volontà” naturalmente squilibrata e particolare, per unirsi alla Volontà divina che è l’unica davvero Reale. Questa “morte”, più ancora della morte fisica, è realmente ciò che terrorizza l’individuo, che infatti generalmente la fugge –e a null’altro serve la Legge religiosa se non a realizzare questa fondamentale tappa che “costringe” l’individualità a rinunciare a se stessa. Ma, dice il Vangelo, “chi vorrà conservare la propria vita la perderà, e chi la perderà la troverà”.

“Morendo a se stessa”, infatti, l’individualità non perde nient’altro che la propria illusione di auto sussistenza, guadagnando al contrario, l’Infinito dell’Assoluto. La perdita apparente dell’”individualità” coincide, al contrario, con la realizzazione della vera Personalità, ovvero dell’Idea Divina di cui noi siamo riflesso.

inferno ghiacciatoLa via dell’autoconservazione dell’individuo –inteso come monade staccata e autoreferenziale- conduce al contrario alla dissoluzione senza ritorno. L’ego che si solidifica come in un “rigore mortis” non è altro, in effetti, che la tappa iniziale di un processo che conduce all’inevitabile e terribile decomposizione. Come un corpo privato del cuore, come una ruota senza l’asse, come una bussola senza un Polo, l’illusoria individualità disgiunta dall’Assoluto nulla può se non disgregarsi dolorosamente.

Il ghiaccio ed il fuoco dell’Inferno –li si intenda simbolicamente o concretamente- non sono, infondo, nient’altro che la rappresentazione di questo processo (questo si) realmente mortale che attende tutti coloro che non vogliono “morire prima di morire”.

Considerazioni sulla pratica delle Benedizioni e sul Culto delle Reliquie

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REliquiario Re MagiTacciate di “idolatria” nel mondo protestante, ridicolizzate dal materialismo scientista, incomprese e quindi marginalizzate anche da larga parte del clero cattolico, ridotte a reale “superstizione” da parte di certo devozionalismo religioso, il Culto delle Reliquie e la pratica delle Benedizioni rispondono al contrario a leggi di tipo “sottile” che, se comprese, permettono di inquadrarne la reale importanza e il giusto significato.

LA MATERIA E’ MOLTO PIU’ CHE “MATERIALITA’”

Riguardo al Culto delle Reliquie e alla pratica delle Benedizioni, peraltro, quello che appare più incomprensibile agli occhi dell’uomo moderno è soprattutto l’idea che la “materia” (sia essa un oggetto o le parti del corpo di un santo defunto o una particolare sostanza che viene “benedetta”, ecc.) possa avere la capacità di veicolare un “influsso spirituale”. E in effetti –almeno da Cartesio in poi- agli occhi dell’uomo moderno la materia appare come qualcosa di inerte e inanimato, del tutto separata dallo Spirito e, per così dire, “autosufficiente” e chiusa in se stessa. Nelle civiltà tradizionali e ispirate al sacro, al contrario, quello che noi moderni chiamiamo materia –ma che sarebbe meglio definire come l’aspetto “grossolano” e manifesto della realtà- non è affatto vista una dimensione “separata e autosufficiente” del creato, ma solo come un suo aspetto esteriore, che purtuttavia rimane sempre legato alla Realtà totale attraverso stati e passaggi differenti –oltre alla dimensione “fisica” e grossolana e a quella puramente Spirituale, vi è anche una dimensione intermedia, psichica e “sottile” che, in certo modo, fa da ponte fra le due.

La cosiddetta “materia”, dunque, è davvero molto più di quello che suppongono i moderni e, in determinati casi, può assumere sembianze e caratteristiche ben diverse da quelle a cui siamo abituati (lo stesso dogma monoteista della Resurrezione dei Corpi, implica necessariamente che la materia, sotto l’effetto dello Spirito, possa essere “glorificata” e “trasfigurata”).

Tale prospettiva, non solo rende intellegibili le cause di innumerevoli fenomeni che i moderni definiscono, in mancanza di termini più adatti, come “paranormali”, ma apre anche alla comprensione di pratiche e culti religiosi che proprio l’incomprensione ha fatto cadere nel disprezzo o nell’abuso.

benedizioneL’IMPORTANZA DELLE BENEDIZIONI

Per molti sacerdoti cattolici moderni, cresciuti in contesti culturali protestantizzati e secolarizzati, la pratica delle Benedizioni –quando ancora non viene rifiutata decisamente- è ridotta al più ad una metafora, ad un “segno” dal valore puramente metaforico e soprattutto privo di qualsiasi effetto reale. In realtà, innumerevoli vicende realmente accadute che hanno come “protagonisti” oggetti benedetti –sia nelle storie dei santi che negli scenari di esorcismi, che nella stessa esperienza di vita di milioni di fedeli- dimostra a fortiori come il valore delle Benedizioni impartite sugli oggetti sia tutt’altro che “metaforico”.

Nella tradizione cristiano-ortodossa, per spiegare il cambiamento ontologico che avviene in un oggetto “benedetto”, si parla letteralmente di “materia noumenizzata”, ovvero di materia trasfigurata dalla Benedizione e resa, per così dire, trasparente e permeabile agli “influssi spirituali”.

SUL CULTO DELLE RELIQUIE

Un discorso analogo, ma per certi versi più complesso, può esser fatto riguardo il Culto delle Reliquie. Qui, in particolare, siamo di fronte ad oggetti o a parti del corpo appartenuti ad un Santo, attraverso i quali sembra prolungarsi un influsso spirituale strettamente legato all’Essere che li ha posseduti.

Sempre rimanendo alla tradizione cristiano-ortodossa, il culto delle reliquie è compreso a partire dalla realtà teantropica (divino-umana) e dalla partecipazione dello stesso corpo del santo alle “energie increate” divine. In questo senso, non solo l’anima ma lo stesso corpo sono “divinizzati” e trasfigurati a partire da alcuni “centri sottili” che sono, del resto, gli stessi che vengono segnati durante il Rito dell’Illuminazione (Battesimo, Cresima e Comunione ) con il sacro myron. Tali “centri sottili” sono i punti da dove, per azione dello Spirito Santo, agiscono le Energie Increate nel processo di trasfigurazione di tutto l’essere. Al pari delle Icone –che non sono affatto “quadri” di soggetto sacro, ma vere e proprie “finestre” sul mondo divino- anche il corpo dei santi assume pertanto questa caratteristica, divenendo veicolo di benedizione e di grazie anche dopo il trapasso.

santa-rita-2In un’altra prospettiva, e riferendoci alla tradizione biblica ed ebraica, è nota inoltre l’idea che, al momento della morte di un individuo, certi “elementi” psichici e sottili rimangano legati ai resti corporei. Questi elementi, che non hanno direttamente a che fare con l’anima superiore (ruach) ma con quella parte della dimensione sottile più legata al corpo (nefesh), sono definiti nella Tradizione Ebraica come habal de garbin, letteralmente “il respiro delle ossa” (nel testo biblico vengono indicati come ob, plurale obòt). Si tratta di una sorta di “ombra” che non è identificabile con l’anima imperitura, ma che può considerarsi come una specie “doppio” sottile destinato a dissolversi presto o tardi insieme al corpo, secondo un’idea che si ritrova in forma identica anche presso altre tradizioni come quella egizia o indù[1].

L’esistenza di questi “residui psichici”, il cui contatto è considerato solitamente pericoloso –donde le tradizionali regole ebraiche sull’impurità dei cadaveri, del sangue umano e animale, ecc.- spiegano, peraltro, quale sia la vera natura di certi fenomeni che sbalordiscono i nostri contemporanei, quali i presunti “messaggi” postumi ricevuti mediante “sedute spiritiche”, i sedicenti “ricordi” di vite passate che sembrano affiorare alla coscienza di determinati individui, o persino alcuni strani fenomeni riscontrati dalla scienza medica, per i quali, a seguito di trasfusioni o trapianti, certi pazienti sembrerebbero aver assunto “ricordi” appartenenti ai propri donatori[2].

Tuttavia, quando sono appartenuti ad un santo, tali “residui” sottili sono essi stessi santificati e trasfigurati, divenendo “veicoli” di influssi spirituali. Per tale motivo, le reliquie dei santi diventano realmente, per quanto è possibile, dei veri e propri “ponti” che legano questo mondo alla Personalità imperitura e trascendente del Santo, il quale a sua volta è divenuto perfetta Immagine di Dio e dispensatore delle Sue grazie.    .

Del resto, anche nel caso delle Reliquie, il Cristianesimo riprende e in certo modo “glorifica” una conoscenza di carattere universale condivisa nei millenni da tutte le culture tradizionali. Come spiega Titus Burkhardt, in un passaggio che vogliamo riportare integralmente, già “l’uso di coprire con una maschera il volto di un morto (…) nel senso originario di questa usanza doveva però essere il medesimo ovunque. Con la sua forma simbolica – talvolta simile a quella del Sole – questa maschera rappresentava il prototipo spirituale in cui si riteneva che il morto dovesse integrarsi. Si considera generalmente la maschera che copre i volti delle mummie egiziane come un ritratto stilizzato del defunto; ma ciò è vero solo in parte benché questa maschera divenga realmente, verso la fine del mondo egiziano e per l’influsso dell’arte greco-romana, un vero e proprio ritratto funebre. Prima di questa decadenza, la maschera non mostra il defunto come egli era, ma come sarebbe dovuto diventare: è un volto umano che si avvicina in qualche modo alla forma immutabile e luminosa degli astri. Ora, questa maschera svolge un ruolo ben determinato nell’evoluzione postuma dell’anima: secondo la dottrina egiziana, la modalità sottile inferiore dell’uomo, quella che gli Ebrei chiamano il «soffio delle ossa» e che si dissolve di norma dopo la morte, può essere trattenuta è fissata dalla forma sacra della mummia. Questa forma – o questa maschera – svolgerà dunque, in rapporto a questo insieme di forze sottili diffuse e centrifughe, il ruolo di un principio formale: essa sublimerà questo «soffio» e lo fisserà, facendone un legame fra questo mondo e l’anima stessa del defunto, un «ponte» attraverso il quale gli incantesimi e le offerte dei vivi raggiungeranno l’anima, e la benedizione del defunto potrà raggiungere i vivi. Questa fissazione del «soffio delle ossa», d’altronde, si produce spontaneamente alla morte di un santo, e da questo ha origine la virtù specifica delle reliquie. Nell’uomo che ha raggiunto la santità, la modalità psichica inferiore, o la coscienza corporea, è già stata trasformata nel corso della sua esistenza terrena: essa è diventata veicolo di una presenza spirituale, che verrà fissata alle reliquie ed alla tomba del santo” (Da «La maschera sacra e altri saggi»).

[1] Nella tradizione indù, tali elementi sono indicati col termine preta; nella tradizione egizia, questa sorta di “anima inferiore” destinata a rimanere legata ai resti cadaverici è detta ka, mentre l’anima superiore –identificata col Cuore e che dopo la morte è sottoposta al giudizio divino- è detta ba.

[2] Un caso piuttosto noto di “memoria ereditata” attraverso un trapianto di cuore è quello di Claire Sylvia: https://wellthiness.wordpress.com/2011/10/18/claire-sylvia-il-cuore-trapiantato-le-danno-abitudini-e-gusti-del-donatore/. Inutile dire come tali fenomeni siano assolutamente inspiegabili in un’ottica scientista ma sia comprensibili, al contrario, alla luce delle scienze sacre tradizionali.

A proposito del “castigo divino” (Provvidenza, Volontà e Destino)

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distruzione-sodomaOgni qual volta una catastrofe naturale colpisce la nostra terra, si ripropone a margine una sorta di teatrino pseudo-teologico e pseudo-filosofico dove orgogliosi atei prendono a scusa la tragedia per riaffermare che “Dio non esiste” e dove zelanti credenti si lanciano in altrettante quanto improvvisate “teodicee”. Di frequente, poi, alcuni credenti si propongono in ardite interpretazioni che vedono nella catastrofe di turno l’effetto (o il ”castigo” inflitto da Dio) per un determinato e specifico “peccato” compiuto dall’umanità: interpretazioni commoventi nel loro “zelo” ma spesso povere di contenuto e viziate da un antropomorfismo esagerato che appare banale e persino “urticante”.

La breve riflessione che vi proponiamo non intende, naturalmente, dissipare ogni dubbio sulla questione del “castigo divino” o sul cosiddetto problema del “male nel mondo”, ma vuole provare ad offrire una chiave di lettura più intellegibile e meno “sentimentale” rispetto a questi problemi, cosa che al giorno d’oggi sembra quasi sempre mancare.

 

PROVVIDENZA, VOLONTA’, DESTINO

Per prima cosa, bisogna capire che anche il senso del cosiddetto “castigo” divino va compreso alla luce dell’insegnamento metafisico per il quale tutti i fenomeni del mondo soggiacciono al potere della Triade Provvidenza/Volontà/Destino[1].

La Provvidenza è il riflesso nel mondo della Volontà del Dio personale, che indirizza gli esseri verso il Bene o, per meglio dire, verso il loro superiore destino di “realizzazione spirituale”. Il termine “bene”, infatti, se interpretato a partire da coloriture soggettive e sentimentali, può indurre degli equivoci, perché non tutto quello che appare come “piacevole” per l’essere individuale è anche “benefico”, così come non tutto quello che appare ad un dato momento come “sgradevole” è necessariamente “malefico”. Il bene ed il male, infatti, sono tali non in base alla mutevole (e quindi illusoria) percezione individuale, ma solo alla luce del Bene Supremo che è la Realizzazione dell’essere nell’Assoluto o anche, sul piano immediato, della sua Salvezza.

Il cosiddetto Destino, al contrario, non è altro che l’insieme delle determinazioni e della catena inesorabile delle cause e degli effetti che impone al mondo la legge della necessità: una legge che è “cieca” e “impersonale” –di per se né benefica né malefica- ma che l’essere individuale percepisce come “spietata” perché caratterizzata dal continuo alternarsi di nascita e morte, formazione e distruzione e dallo scorrere terribile del tempo che tutto consuma (Cronos che divora gli stessi figli da lui generati). Si tratta di quella forza inesorabile che così bene descrive, nel suo linguaggio tragico e poetico, Giacomo Leopardi quale forza “che illude e disillude”; forza che pure è indispensabile su questo mondo e su questo piano di realtà affinché gli esseri vengano generati e possano manifestarsi per il tempo a loro stabilito (così, ad esempio, le stesse forze che danno origine alle montagne e ai continenti sono anche quelle che li sgretolano e distruggono sotto forma di terremoti).

Inoltre, dev’essere “compresa” nell’ambito del Destino anche quella catena indefinita di cause ed effetti provocati dall’agire e dalla volontà dei vari esseri (uomo in primis) che determina certe ricadute non solo sul piano meramente “materiale”, ma anche su quello “sottile” e spirituale (da cui, ad esempio, la percezione che si ha a volte di una “maledizione” che pesa su determinati esseri, famiglie o persino luoghi, o l’idea che atti ormai passati “prolunghino” i loro effetti di individuo in individuo o di generazione in generazione[2]).

All’incrocio tra Provvidenza e Destino, infine, vi è la terza potenza che determina il divenire di questo mondo che è la Volontà degli esseri senzienti, nel caso specifico dell’Uomo. La Volontà umana vede nel Destino un “nemico” e una forza oscura che la imprigiona: è quello che i Greci indicavano come Ananké (il fato strangolatore[3]), forza cieca che determina la vita di tutti gli esseri e che li conduce inevitabilmente alla dissoluzione. Ma c’è una possibilità a cui l’Uomo può e deve attingere: quella per la quale, “alleandosi” con la Volontà divina rappresentata dalla Provvidenza, la volontà umana può sciogliere le catene del fato cieco e sfuggire al destino di distruzione ad esso correlato.

 

COSA SONO IL “DIVINO CASTIGO” E  LA “DIVINA PUNIZIONE”?

Per l’essere umano che “ha scelto” di porsi dalla parte della Divina Provvidenza, dunque, il Destino non è più una forza invincibile, così come qualsiasi altra determinazione “naturale”. L’esperienza concreta di innumerevoli “miracoli” in cui, con la forza della Fede e della preghiera, le stesse leggi apparentemente inesorabili della natura sembrano sospendersi o annullarsi, dà l’idea di cosa vogliamo intendere.

E tuttavia, questo non significa affatto che l’uomo “alleato con la Provvidenza” sia definitivamente liberato da ogni tribolazione: alcuni drammi, certamente, potranno essere evitati, ma altri sono permessi da Dio al fine di elevare l’essere e condurlo all’unico e vero Bene che è sempre –non dimentichiamolo- Dio stesso, perché, come dice San Paolo, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”[4].

Al contrario, l’uomo che si volge dall’altra parte –che “rifiuta” la Provvidenza- finisce necessariamente e inesorabilmente per essere dominato dal Destino e dal suo insieme di determinazioni necessitanti; un Destino che può apparire a tratti “piacevoli” e a tratti “doloroso” ma che, in ultimo, conduce inevitabilmente verso la distruzione e –cosa ben più temibile- verso la Seconda Morte che attende, dopo quella fisica, l’individuo che è “lontano da Dio”.

Per questo motivo, la vera “punizione divina” è l’essere “abbandonati” alla terribile legge del mondo, al Destino che illude e consuma; e per questo, nelle Scritture, spesso la “punizione” che Dio infligge all’uomo empio è quella di abbandonarlo a se stesso (“ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore” recita l’inno del Magnificat).

Ma alla luce di quanto detto, cosa rispondere a chi afferma –o al contrario nega- che le catastrofi e le sventure possano essere una “punizione” divina? Un terremoto, un alluvione, un’epidemia che colpisce indiscriminatamente possono essere considerati “vendette” divine?

Certamente, una singola sciagura può anche essere letta, alle volte, come un “divino castigo”, in cui la Provvidenza divina “abbandona” l’uomo alle conseguenze inesorabili del Destino: ma la nostra valutazione da cosa dipende? Dipende solo da quanto un evento appare a noi piacevole o sgradevole? E perché non pensare che uno stesso evento possa costituire, a seconda di chi lo subisce, un “castigo”, un “ammonimento” o addirittura un’occasione di perfezione?

Lo stesso termine “castigo”, secondo una certa etimologia, rimanda all’espressione “essere casto”, essere “purificato”: quello che per l’empio, dunque, è solo causa di disperazione e rovina, per un altro individuo può essere causa di ravvedimento e di cambiamento e, per un altro ancora, causa di perfezione.

Tutto ciò che accade, in realtà, è lì solo per ricordarci (e tutto è vano in questo mondo se non il “ricordo di Dio”) che l’Uomo è un essere chiamato a scegliere: o con Dio o con le forze cieche della dissoluzione e della morte. Tertium non datur.

 

[1] Naturalmente, bisogna comprendere che, su un piano ancora più elevato e universale, nulla sfugge alla Volontà Divina e che pertanto sia il Destino apparentemente “cieco”, sia le scelte degli esseri individuali sono comunque “compresi” nell’Infinità delle possibilità divine.

[2] E’ questo, tra l’altro, uno dei sensi della dottrina orientale del Karma (termine che letteralmente significa “azione”, ma che può anche intendersi come l’insieme delle “conseguenze delle azioni”).

[3] Dalla stessa radice indoeuropea, viene la parola italiana “anaconda”, che indica per eccellenza il “serpente strangolatore”, e l’inglese to hang, “impiccare”.

[4] Romani 8, 11

[5] Luca 1, 68

La dottrina indù dei cicli cosmici: testi e commento

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La dottrina indù delle “quattro età dell’umanità” é la più complessa formulazione tradizionale riguardo alla visione del tempo che sia giunta fino a noi. Presentiamo qui di seguito la traduzione ed il commento dei testi originali indù -con particolare riferimento alla presente Età Oscura (Kali Yuga)- a cura dell’antropologo Mario Polia e pubblicato nel saggio: M.Polia-G.Marletta, “Apocalissi. La fine dei tempi nelle religioni”, Editrice SugarCo.

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Età del mondo e decadenza spirituale ed etica nel Bhāgavata Purāņa e nel Vişņu Purāņa

Le citazioni che seguono, permetteranno un corretto intendimento delle relazioni esistenti, nella filosofia religiosa indiana, fra degradazione spirituale ed etica e decadimento del mondo. I passi citati sono tratti dai libri sacri dei Purāņa, contenenti miti relativi alla creazione e alla fine del mondo, oltre a quelli che narrano le discese celesti (avatāra) dei vari dèi del pantheon indù e, in specie, degli avatāra di Vişņu. Per il loro contenuto, meno dottrinario e “tecnico” di quello dei Veda, e per il fascino esercitato dalle narrazioni, i Purāņa esercitarono un potente influsso, specie sulle componenti dell’India meno dedite allo studio dei testi religiosi. I testi “classici” in cui è esposta più compiutamente la tematica esposta nel titolo del paragrafo, sono il Bhāgavata Purāņa e il Vişņu Purāņa.[1]

I testi del Bhāgavata Purāņa. Passi tratti dal libro XI, capitolo V: “Descrizione dei frutti dell’empietà” (trad. E. Burnouf. Abbiamo normalizzato la grafia dei termini sanscriti):

«20. Keśava[2] è onorato durante le età Kŗta, Trēta, Dvāpara e Kali con colori, nomi, forme molteplici e in vari modi.

  1. Nel Kŗta (yuga) è bianco, ha quattro braccia; i suoi capelli sono intrecciati, è vestito di scorza e da una pelle d’antilope nera, cinge il cordone dei bramini (…) porta un bordone e una scodella». Gli attributi del dio, nell’età dell’oro indù, corrispondono a quelli dei sacerdoti e degli asceti, condizione predominante nella prima età dell’umanità.

«22. Gli uomini sono tranquilli, ignorano il rancore, affettuosi, (d’umore) inalterato, onorano Dio con la loro ascesi, la loro tranquillità (d’animo) e tenendo a freno (le loro passioni).

  1. (Dio) è celebrato coi nomi di Hamsa, Suparņa, Vàikuņtha, Dharma, il signore dello Yoga, Īśvara, Manu, Puruşa, l’Indistinto, l’Anima Suprema.
  2. Nell’età Trēta, è rosso, ha quattro braccia e tre cinture; i suoi capelli sono d’oro, egli è l’essenza del triplice (Veda), porta come insegna il grande e il piccolo mestolo per i sacrifici.
  3. Hari, il Dio formato da tutti gli dèi, è adorato dagli uomini più fedeli al proprio dovere e versati nella triplice scienza dei Veda».

«27. Nel Dvāpara (yuga) Bhagavat è di colore oscuro, è vestito di giallo, munito delle sue armi, ornato dello śrīvatsa e dagli altri attributi e insegne a lui proprie.

  1. Allora i mortali desiderosi di conoscere l’Essere supremo (…) onorano, per mezzo dei Veda e dei Tantra, il Puruşa rivestito delle sue insegne regali…».
  2. «A Nārayāna, al Ŗşi, al Puruşa, alla Grande Anima, al Signore dell’Universo, a colui che è lo (stesso) Universo e l’Anima di tutti gli esseri, rendiamo omaggio» (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 247-248).

Durante il Kali yuga, l’adorazione viene tributata a Krishna, «colui che è nero, ma che, grazie al suo splendore, non è tenebroso» (32), soprattutto mediante la parola di lode e i canti sacri.

«35. Ecco (…) come con un nome e una forma adatta a (ciascuna) età, Bhagavat è adorato dagli uomini di ogni età, lui, Hari, il signore dei beni.

  1. Le anime elette che conoscono le virtù (dell’età Kali) e che di esse si nutrono, onorano questa età poiché in essa è sufficiente celebrare (le lodi a Krishna) per ottenere (il soddisfacimento) di ogni proprio desiderio». Durante il Kali yuga, dato lo stato di offuscamento della mente umana, chiusa alla conoscenza delle cose divine, per ottenere la salvezza dal ciclo delle rinascite sarà sufficiente celebrare le lodi a Krishna, in altre parole, sarà sufficiente seguire la Via della Devozione (bhākti), raccomandata appunto agli uomini dell’ultima età del mondo (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 248-249).

Dal libro XII, capitolo II: “Descrizione dei mali dell’età Kali” (trad. E. Burnouf):

«1. Di giorno in giorno, per il potere del tempo, deperiranno (…) il Dovere, la Verità, la Purezza, la Pazienza, la Compassione, la Forza e la Memoria.

  1. Nell’età Kali, presso gli uomini, la ricchezza prenderà vantaggiosamente il posto della nobiltà dei natali, della virtù, del merito; diritto e norma saranno determinati dalla forza.
  2. Nel matrimonio, si cercherà unicamente il piacere; negli affari la scaltrezza; nel sesso maschile e femminile, la voluttà; nel bramino, il cordone.
  3. Solo i segni esteriori distingueranno l’appartenenza alla casta e permetteranno di passare dall’una all’altra; se si sarà poveri, il giusto diritto non avrà forza alcuna; la verbosità prenderà il posto della conoscenza.
  4. Basterà esser povero per essere cattivo; ipocrita per essere virtuoso; coabitare per essere sposi; il bagno diverrà solo una norma igienica (non un rito sacro).
  5. Uno stagno remoto sarà solo (per questo) considerato acqua santificante; la bellezza (consisterà) nell’acconciatura dei capelli; lo scopo di ognuno sarà riempirsi il ventre; l’insolenza prenderà il posto della lealtà.
  6. (…) si adempirà alla legge solo in vista d’un’effimera gloria.
  7. Sulla distesa della terra, che pullulerà di gente perversa, chi tra i Brāhmaņa, gli Kşatriya, i Vaiśya o i Śūdra sarà il più forte, quegli diverrà re.
  8. I sudditi di questi sovrani cupidi, spietati, non essendovi altra legge che il brigantaggio, vedendosi privati delle loro donne e dei loro beni, si rifugeranno tra le montagne e nelle foreste,
  9. Nutrendosi d’erbe, di radici, carne, miele, frutta, fiori e grani; per mancanza di piogge, periranno per le carestie, sfiniti dalle tasse, dal freddo, dal vento, dal calore, dagli acquazzoni, dalla neve, (si distruggeranno) gli uni con gli altri».

«12. I corpi degli esseri viventi deperiranno a causa dei crimini del Kaliyuga; gli uomini appartenenti alle caste e agli ordini non conosceranno più il cammino del dovere tracciato dai Veda.

  1. La legge degli eretici prevarrà; i re si comporteranno come briganti; gli uomini si dedicheranno a rubare, a mentire, ad inutili assassini e ad ogni sorta di pratiche (scellerate).
  2. Le caste somiglieranno tutte a quelle degli Śūdra; le vacche saranno simili a capre; le dimore degli eremiti (somiglieranno) alle case; i parenti saranno soltanto degli alleati.
  3. Le piante saranno simili ad atomi; i grandi alberi a piante di legumi (çamis); le nuvole a lampi, le case a deserti.
  4. Proprio allora, quando l’età Kali, così dura per gli uomini, sarà sul punto di finire, Bhagavat, assunta la (forma della) Bontà, scenderà sulla terra per proteggere la legge…» (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 403-404).

Passi tratti dal libro XII, capitolo III: “Le lodi a Hari, mezzo efficace per cancellare i mali dell’età Kali” (trad. E. Burnouf):

«18. Nella (età) Kŗta, il Dovere (Dharma) cammina su quattro piedi; gli uomini di questa (età) l’onorano. I piedi di questo (toro) possente sono la Verità, la Commiserazione, l’Astinenza, la Liberalità.

  1. Gli uomini sono, in genere, contenti, pieni di compassione, di benevolenza, (coi sensi) pacificati e soggiogati; pazienti, trovano in sé stessi la loro felicità, vedono tutto coi medesimi occhi, vivendo in tal modo nello śrāmaņa.[3]
  2. Nell’età Trēta, la quarta parte dei piedi del Dharma sparisce poco a poco sotto i piedi dell’Ingiustizia, che sono la Menzogna, la Malevolenza, l’Insaziabilità e la Rapina.
  3. Nel corso di questa età, le caste, prima fra tutte quella dei Brāhmaņa, si dedicano alle opere (sacrifici, ecc.) e all’ascetismo (digiuno, ecc.); gli uomini non sono né molto malvagi né molto sensuali; essi sono attaccati al triplice oggetto (dell’attività umana) e invecchiano (nella pratica) del triplice (Veda).
  4. (I quattro piedi) del Dharma: l’Astinenza, la Verità, la Commiserazione, la Liberalità, diventano due soli durante l’età Dvāpara, sotto l’azione della Malevolenza, dell’Insaziabilità, della Menzogna, della (Rapina) frutto del rancore, segni caratteristici dell’Ingiustizia.
  5. (Durante questa età) gli uomini appartenenti alle caste, amano la gloria, le abitudini magnifiche; si compiacciono nello studio dei Veda; sono opulenti e felici padri di famiglia; Kśatriya e Brāhmaņa sono (sempre) in testa.
  6. Durante l’età Kali, la quarta (ed ultima) parte dei piedi del Dharma diminuisce per l’accrescimento dei piedi dell’Ingiustizia; alla fine, scompare (del tutto).
  7. Durante questa (età) gli uomini sono cupidi, senza regole, impietosi, gratuitamente ostili, miserabili, insaziabili; Śūdra e peccatori occupano il vertice delle gerarchie.
  8. La Bontà (sattva), la Passione (rajas), l’Oscurità (tamas): queste sono le qualità che si manifestano tra gli uomini; messe in movimento dal Tempo, esse agiscono nelle loro anime.
  9. Quando l’organo interno, l’intelligenza e i sensi partecipano soprattutto della Bontà, allora si riconosce l’età Kŗta nella quale ci si compiace della scienza e dell’austerità.
  10. Quando gli esseri si votano al dovere, all’interesse, al piacere, allora è l’età Trēta in cui domina la Passione…
  11. Quando regnano la cupidigia, l’insaziabilità, l’orgoglio, l’impostura, l’invidia, fra opere mosse dall’interesse, (allora) è l’età Dvāpara in cui (regnano) Passione e Oscurità.
  12. Quando regnano l’inganno, la menzogna, l’inerzia, il sonno, la malvagità, la costernazione, il cruccio, la confusione, la paura, la tristezza: ecco l’età detta Kali che è (esclusivamente) tenebrosa.
  13. Durante questa età, gli uomini hanno la vista corta, sono poveri di risorse, sono dediti alla gola, libidinosi, indigenti; le donne sono libertine e cattive.
  14. Le campagne sono desolate dai briganti; i Veda corrotti dagli eretici; i popoli, vessati dai loro re; i Brāhmaņa dediti alla lussuria e alla gola.
  15. I giovani Brāhmaņa non osservano più i loro voti; non praticano la purezza; i capi di casa diventano mendicanti (invece di dare essi stessi l’elemosina); gli asceti (lasciano le foreste per) abitare nei villaggi; i (penitenti) che hanno fatto voto di rinuncia assoluta, sono avidi di ricchezze.
  16. Le donne sono di piccola taglia, ingorde, eccessivamente feconde, senza pudore, ciarliere senza cessa e prive di grazia, ladre, scaltre, di grande sfrontatezza.
  17. Il commercio (durante l’età Kali) sarà nelle mani di miserabili mercanti, mentitori di professione; anche fuori dei casi di necessità, si riterrà lecita una professione disprezzata.
  18. I servi abbandoneranno i loro padroni, anche se questi fossero i migliori di tutti; i padroni (abbandoneranno) il servo invecchiato nella loro famiglia, se questi s’ammala, e anche le vacche che non danno più latte.
  19. Abbandonando padri, fratelli, amici e parenti, dediti alla lussuria ed agli (illeciti) affetti, miserabili e debosciati, quelli (che vivranno) nell’età Kali avranno relazioni criminali tra cugini e cugine.
  20. Gli Śūdra, travestiti da asceti, vivranno del loro travestimento, godendo delle offerte; uomini che conoscono soltanto l’ingiustizia, si faranno interpreti della giustizia e occuperanno i posti più alti.
  21. Con l’anima in continuo subbuglio; tormentati dalla carestia e il fisco; spaventati per la continua siccità (gli uomini) s’ammaleranno, in un paese in cui non ci saranno più raccolti di riso…
  22. Senza vesti, senza nutrimento né acqua, senza un giaciglio, estranei al piacere, ai bagni, al lusso, la gente dell’età Kali sarà simile ai piśāca.[4]
  23. Durante l’età Kali, per una piccola moneta (kakiņika), si litigherà con i propri amici e si rinuncerà alla loro amicizia; si sacrificherà la stessa esistenza, per quanto cara, e ci si ucciderà tra parenti.
  24. Non si proteggeranno più i vecchi genitori, né i propri figli, qualunque sia la loro abilità nei diversi generi d’applicazione; nella loro abiezione, gli uomini saranno dediti alla lussuria e all’intemperanza.
  25. Nell’età Kali (…) il supremo Maestro dei mondi, colui che vede i protettori dei tre mondi prosternati dinanzi al loto dei suoi piedi, il beato Aśyuta, sarà quasi sempre privato dell’omaggio della maggior parte degli uomini, la cui intelligenza sarà corrotta dall’eresia.
  26. Egli, il cui nome pronunciato (anche) incoscientemente sul punto della morte, durante le malattie, le cadute, gli urti, libera l’uomo dal legame delle azioni compiute, permettendogli la felicità eterna, non sarà più adorato da nessuno, durante l’età Kali.
  27. Le mancanze commesse dagli uomini durante l’età Kali, riguardanti cose, luoghi o le loro persone, sono cancellate da Bhagavat, il supremo Puruşa, quand’egli prende dimora nei loro cuori.
  28. Basterà ascoltare o celebrare le sue lodi, pensare a lui, offrirgli dei segni d’omaggio o di rispetto, perché il Beato prenda dimora nel loro cuore e cancelli le impurità contratte dagli uomini durante diecimila esistenze».

«51. L’età Kali (…) (nonostante sia) un abisso di vizi, possiede un vantaggio unico, (ma) prezioso: è sufficiente celebrare le lodi di Krishna perché, liberi da ogni legame, ci si riunisca all’Essere supremo.

  1. Ciò che si ottiene durante l’età Kŗta, meditando su Vişņu, nell’età Trēta, offrendo(gli) doni e sacrifici ; nell’età Dvāpara, (votandosi) al suo culto; nell’età Kali, lo si ottiene celebrando le lodi di Hari» (Bhāgavata Purāņa 1840-1898: 409-413).

Gli uomini dediti principalmente al soddisfacimento dei piaceri, schiavi dei loro desideri, sono descritti come esseri demoniaci (āsura). Tale è il tipo d’uomo prevalente durante l’ultima età: «Dediti a una cura affannosa e smisurata che termina solo con la morte, affermano che il bene supremo consiste nel soddisfacimento dei desideri e sono convinti che questo mondo sia l’unica realtà»; «Avvinti dai mille vincoli del desiderio (kāma), dediti al piacere e all’ira, cercano di ottenere fortuna in modo non conforme alla norma, pur di soddisfare i loro desideri» (Bhagavad Gītā 16, 11-12).

Kalki, ultimo avatāra di Vişņu. Nella tradizione indù, avatāra significa “discesa” della divinità in un corpo umano per una sua modalità di manifestazione nel tempo e nello spazio. Comunemente, “avatāra” è tradotto “incarnazione”: «Si tratta dell’incarnazione del dio nel tempo allo scopo di restaurare l’ordine del cosmo e rivelare la sua natura in modo accessibile all’uomo» (Acharuparambil 1955, 163). Krishna spiega così i propri avatāra: «Quando si produce il declino del dharma e l’affermarsi dell’adharma, allora io manifesto me stesso (come avatāra). Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi, e per dare stabile fondamento al dharma io entro nell’esistenza di età in età» (Bhaghavad Gītā 4, 7-8).

A chiudere il ciclo del Kali-yuga, sarà l’incarnazione di Vişņu come Kalki-avatāra vendicatore del Dharma. Kalki si manifesterà come un guerriero montato su un bianco destriero e stringerà in pugno una spada di fuoco, con la quale punirà tutti coloro che, essendosi opposti a verità e giustizia e avendo collaborato con le forze del male, colpevoli della degradazione dell’uomo e della corruzione del mondo, si sono resi meritevoli della vendetta divina. La venuta di Kalki inaugurerà la nuova età dell’oro della quale Vişņu, dio del cinghiale bianco, sarà signore e sovrano. Citiamo dal Bhāgavata Purāņa, libro XII, cap. II:

«18. Kalki [Vişņu] apparirà nella casa di un bramino magnanimo (chiamato) Vişņuyaças, capo del villaggio Chambala.

  1. Montando il cavallo Dēvadatta, velocissimo, nemico dei malvagi; dotato delle otto facoltà sovrannaturali e delle qualità,
  2. Percorrerà la terra con la massima rapidità del suo destriero, emettendo uno splendore senza pari e, con la sua spada, ucciderà a milioni di milioni i ladri celati sotto le insegne della sovranità.
  3. Essendo stati messi a morte tutti i briganti, gli abitanti delle città e dei villaggi sentiranno il loro cuore riempirsi di gioia al soffio odoroso della brezza, purificata al massimo grado dalle membra di zafferano di Vāsudēva.
  4. Da loro, nascerà una progenie vigorosa, grazie alla presenza tra di loro del beato Vāsudēva la cui forma è la Bontà». La venuta di Kalki inaugura la nuova età beata:
  5. Quando s’incarnerà il Beato Kalki, il maestro della legge, Hari, sarà l’età Kŗta; gli esseri nasceranno allora essenzialmente buoni.
  6. Quando la Luna, il Sole, Tichya e Brihaspati saranno allineati nel segno di una sola costellazione, verrà l’età Kŗta.[5]
  7. Alla fine della quarta (età, il Kaliyuga), che durerà mille anni divini (senza contare i due crepuscoli di cento anni ciascuno), tornerà (l’età) Kŗta. Allora l’organo interno dell’uomo si schiarirà da solo» (Bhāgavata Purāņa 12, 2; pp. 404-405).

Decadenza umana, fine e rinnovamento del mondo nel Vişņu Purāņa: un altro dei testi contenuti nella raccolta dei Purāņa, il Vişņu Purāņa, raccoglie le predizioni concernenti la conclusione del ciclo e l’inizio del seguente. Il contenuto è simile a quello del Bhāgavata Purāņa, per cui, un riassunto sarà sufficiente: fuoricasta, servi e barbari desoleranno il sacro suolo dell’India; sovrani violenti spoglieranno i loro sudditi; il dharma decadrà ovunque; possesso materiale, salute e ricerca del piacere saranno i moventi dell’umanità nell’ultimo scorcio del ciclo; il rispetto verso i sacerdoti e i maestri spirituali decadrà e ad esso si sostituirà il disprezzo per le norme religiose e per la tradizione; il matrimonio cesserà d’essere un rito e tra i sessi prevarrà la legge del piacere; le donne non rispetteranno più i loro genitori e i mariti, saranno dissolute e si concederanno a dissoluti; l’empietà prevarrà ovunque. Ma, proprio quando ogni norma ed ogni rito staranno per essere abbandonati, Brahmaņ invierà sulla terra un principe di natura divina, il quale ristabilirà la giustizia tra gli uomini. Le loro menti, perdendo l’offuscamento che le ottenebrava, saranno destate a una rinnovata percezione del divino. Da quest’ultima umanità nasceranno coloro che daranno inizio ad una nuova età beata: un nuovo kŗta-yuga (cfr. Vişņu Purāņa 4, 24; 6, 1).

La montagna polare e il Centro di Agartha. La tradizione indiana fa riferimento a un Centro supremo, posto sulla cima della Montagna Polare, o monte Mēru, corrispondente all’asse del mondo. “Centro” e “asse”, ovviamente, vanno intesi in senso spirituale e non geografico. “Agartha” esprime la presenza del lógos universale che presiede e dirige lo svolgimento d’ognuna delle ère dell’umanità. In Agartha risiedono tre personaggi, dotati ognuno di una specifica funzione: Brāhātma, Māhātma e Mahāńga. Il primo è il capo supremo di Agartha, la sua funzione è la conservazione della sapienza e della tradizione primordiale. Il Māhātma svolge una funzione essenzialmente sacerdotale, o “pontificale” mentre la funzione del Mahāńga è nettamente regale, o “imperiale”. Ognuna delle tre funzioni si esplicita e sussegue durante lo svolgimento del ciclo, sicché nella prima èra dell’umanità, caratterizzata dall’assenza delle caste, dalla giustizia, dalla sapienza e dalla pietas, il mondo è retto dal Brāhātma. Durante il secondo yuga – analogo all’“età dell’argento” – caratterizzato dal predominio della casta sacerdotale, il mondo è retto dal Māhātma, che svolge la funzione di sacerdote supremo. In seguito, quando le altre caste assumono il predominio, a iniziare dalla casta dei guerrieri, al Māhātma succede il Mahāńga esercitando la sua funzione regale di imperator mundi. Ovviamente, la “successione” non implica la scomparsa della precedente funzione, ma il suo passaggio dalla sfera visibile a quella invisibile, dalla storia alla metastoria, dal mondo all’Agartha.

Lokalōka: la grande montagna e il crollo delle barriere che proteggono il mondo. Nella cosmografia indù, Lokalōka è la grande barriera montuosa, eretta a forma di circolo, che separa e difende il cosmo (loka) dal mondo del caos (alōka) e dalle oscure forze dei demoni, perennemente in agguato. Si tratta di una sorta di barriera analogica che, presso tradizioni diverse da quella indiana, prende il nome di “Grande Muraglia”. In modo analogo, nella tradizione germanica, la Terra di Mezzo (Miđgarđr) è separata e difesa dal Mondo dei Giganti da una barriera protettiva, formata da altissimi monti che, però, le forze del caos simboleggiate dai giganti valicheranno, alla fine dei tempi, per distruggere il mondo.

Per quanto riguarda il simbolismo espresso dalla barriera, René Guénon ha giustamente notato che la Grande Muraglia, o la barriera montuosa di Lokalōka, pur esercitando protezione nei confronti delle potenze esterne ostili al mondo ed all’ordine in esso vigente, non preclude affatto la comunicazione verso l’alto (Guénon 1969: 209). In altre parole, non impedisce alle forze celesti di esercitare le loro influenze, sempre che esista la giusta disposizione a che ciò avvenga.

La diciottesima Sūra del Corano fa riferimento alle genti di Gog e Magog – orde distruttive composte da esseri non-umani,rappresentati a volte come giganti, altre come nani – figurazioni delle potenze del caos. Tali orde, passando attraverso le fenditure prodottesi nella Grande Muraglia, costruita secondo la leggenda da Alessandro Magno, chiuderanno il presente ciclo cosmico, desolando la terra. La tradizione indù, dal canto suo, menziona i due dèmoni Koka e Vikoka i cui nomi sono palesemente identici a quelli di Gog e Magog.[1]

Evidentemente, sia la “Grande Muraglia” che la mitica barriera montuosa, vanno intesi in senso simbolico, in riferimento alla funzione protettrice dell’ordine cosmico assicurata dal corretto adempimento dei riti e dall’osservanza delle leggi. Il rito, infatti, assicura le giuste relazioni col mondo divino, mentre la legge, garantendo l’esistenza dell’ordine, stabilisce la giusta convivenza tra gli uomini. “Lokāloka” deriva da loka che esprime il concetto di “cosmo”, inteso come spazio-tempo ordinato dal rito e dalla legge e dalla negazione di loka (a-loka) che si riferisce all’assenza di norme religiose ed etiche e al disordine prodotto da tale assenza. In tal senso, rifacendoci alle considerazioni di cui sopra (v.), il presupposto perché possa parlarsi di “loka” è costituito dalla presenza attiva di ŗta e dharma, l’ordine fondato sulla norma divina e l’osservanza dei doveri morali e religiosi, senza i quali il cosmo precipita nello stato di non-cosmo, o a-loka.

Per concludere, esponiamo il diagramma che illustra le relazioni tra i cicli e le caste, includendo due momenti del ciclo – uno all’inizio ed uno alla sua conclusione – in cui virgola si ha uno stato indifferenziato, caratterizzato dalla mancanza di caste. Per quanto riguarda questi due momenti, occorre, però, notare che l’indifferenziazione iniziale dello hamsa è tutt’altra cosa della confusione caratterizzante gli ultimi tempi. In entrambi i casi, la non-differenziazione rimanda al simbolismo del caos, sennonché lo hamsa esprime le potenzialità positive del caos, dal quale il demiurgo porterà ad essere la nuova creazione; l’indifferenziazione finale, al contrario, esprime e realizza le valenze negative, le componenti distruttive del caos destinate a far spazio alla realizzazione di un nuovo ordine che avverrà, parafrasando l’immagine paolina, sotto “nuovi cieli” e riguarderà una “nuova terra”. Ecco, dunque, il quadro delle relazioni fra yuga e caste:

kŗta-y.             hamsa, stato indifferenziato, assenza di caste

trēta-y.            predominio della casta sacerdotale, poi dei guerrieri

dvāpara-y.      predominio dei guerrieri, poi dei vaiśya

            kali-y.              predominio dei vaiśya, poi degli śūdra e, per ultimo dei pañcama, o fuori-casta: stato indifferenziato equivalente a un ritorno al caos

É anche possibile mettere in relazione i quattro yuga con le quattro stagioni dell’anno, intendendo “stagione” in senso metaforico. Si otterranno allora le seguenti corrispondenze: kŗt-y.–primavera; trēta-y.–estate; dvāpara-y.–autunno; kali-y.–inverno.

Copertina - apocalissi[1] Un’antica leggenda, diffusa lungo l’intero corso del Medioevo narra che Alessandro Magno avrebbe fatto costruire delle grandi porte di ferro per sbarrare i valichi montani e impedire alle orde delle steppe d’invadere l’Europa. All’avvicinarsi delle orde, prosegue la leggenda, misteriosi squilli di tromba avrebbero rivelato agli invasori la presenza di insonni, soprannaturali sentinelle. Un giorno il suono delle trombe cessò. Un nano, della stirpe dei Mongoli, raggiunto il valico, s’accorse che le porte erano incustodite. A produrre il suono era il vento che passava tra le rocce, ma le fenditure erano state otturate da nidi di gufi. La leggenda si rivelò tragicamente vera in occasione delle invasioni degli Unni. Nella tradizione cinese, ai tempi dell’Imperatore Giallo, Fo-hsi, un gigante produsse uno squarcio nella parte della volta celeste più prossima alla terra, sicché la sorella di Fo-hsi, Niu-kwa, dovette riparare lo strappo ricorrendo a pietre di cinque colori (allegoria dei cinque elementi). Lo “strappo” della tradizione cinese equivale alle “fenditure” della Grande Muraglia nella tradizione islamica

[1] In quanto ad etimo, purāņa significa “antico”

[2] Keśava: uno dei nomi divini di Vişņu-Kŗşņa

[3] śramaņa: lo stato religioso di monaco, o rinunciante

[4] Il termine piśāca si applicava, in genere, ai malvagi e impuri divoratori di carne bovina, ma qui ha un senso più generico; lo stesso termine designava una classe di dèmoni

[5] Anche nella tradizione indù la fine di un ciclo e l’inizio del nuovo coincidono con l’allineamento dei pianeti in uno dei segni dello Zodiaco (v. anche Platone nel Timeo)

G.Marletta, “L’Eden, la Resurrezione, la Terra dei Viventi” (Ed. Irfàn)

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Copertina e QuartaIl racconto dell’Eden e la fede nella Resurrezione sono temi essenziali della visione religiosa del mondo, cristiana e monoteista: eppure, mai come oggi la loro comprensione è resa difficile sia a causa del materialismo profano che dello stesso letteralismo religioso. In questo saggio, il tema è affrontato a partire dalla Simbologia, dalla Cosmologia e dalla Metafisica tradizionali: corpo, anima e spirito, individualità e personalità, la “terra” dell’Eden e il “corpo” di Adamo, tempo, atemporalità ed eternità, la caduta e il “serpente”, le condizioni post-mortem e lo shéol, gli inferi e l’inferno, le Dimore di Salvezza e gli “stati intermedi”, la Resurrezione e lo Stato Paradisiaco, l’Ascensione e la Divinizzazione, sono solo alcuni dei argomenti affrontati in questo percorso alla scoperta dello “Stato Umano”.

(Con saggio finale del Prof. Mario Polia sul tema: Morte e resurrezione divina: differenze tra mondo mediterraneo, greco-romano e Cristianesimo)

 

Gianluca Marletta, L’EDEN, LA RESURREZIONE E LA TERRA DEI VIVENTI, Ed. Irfàn

 

Introduzione

– L’Eden e la Resurrezione: Interpretazioni e incomprensioni

– Le moderne “genesi atee”

– Alcuni limiti del linguaggio religioso

– Simbolismo, cosmologia, metafisica

– Uno studio sullo “stato umano”

 

Capitolo primo – Che cos’è l’uomo?  

1.1 – Corpo, anima, spirito

1.2 – La tripartizione dell’uomo nelle tradizioni extrabibliche

1.3 – I Tre Mondi e le loro caratteristiche

1.4 – La perdita di una distinzione

1.5 – L’essere umano alla luce del simbolismo della Croce

1.6 – Individualità contingente, individualità estesa, personalità

 

Capitolo secondo – L’Eden e lo “stato primordiale” dell’umanità

2.1 – L’Eden o la “Terra Vera”

2.2  – Il “corpo” di Adamo

2.3 – Immagine di Dio, compendio del cosmo

2.4 – Il Giardino, i quattro fiumi e i due alberi

 

Capitolo terzo – La condizione umana decaduta

3.1 – La caduta, ovvero la “dualità”

3.2 – Alcune considerazioni sul simbolismo del serpente

3.3 – Il tempo e la morte

3.4  – Shéol o il “paese della polvere”

3.5 – La storia terrena come progressiva decadenza spirituale

 

Capitolo quarto – Le condizioni postume dell’essere umano

4.1 – La condizione spirituale e il momento del trapasso

4.2 – “Le loro opere li seguono”. Il permanere atemporale delle possibilità individuali

4.3 – Giudizio individuale e giudizio universale

 

Capitolo quinto – Gli Inferi e l’Inferno

5.1 – La “discesa agli inferi”

5.2 – L’Inferno e la “seconda morte”

5.3 – I refaìm

5.4 – Gli obòt o il “respiro delle ossa”

 

Capitolo sesto – Le dimore della Salvezza

6.1 – “Le porte degli inferi non prevarranno”

6.2 – Purgatorio, Mytàrstva, Barzakh

6.3  – Le “molte dimore”

6.4 – Considerazioni sul simbolismo dell’Arca di Salvezza e del “seno di Abramo”

 

Capitolo settimo – La Resurrezione e la “Terra dei Viventi”

 7.1 – Le due resurrezioni

7.2 – Il “Giorno della Resurrezione”

7.3 – “Non un capello del vostro capo”. La condizione del Risorto nei Vangeli

7.4 – “…perché erediteranno la terra”

7.5 – La Terra dei Viventi e alcune sue rappresentazioni nella Bibbia e nelle altre tradizioni spirituali

7.6 – La “comunione dei santi”

7.7 – Eden e Gerusalemme Celeste. Paradiso terrestre e Paradiso Celeste

 

Capitolo ottavo – Oltre lo stato umano

8.1 – Il “Cielo della Luna”

8.2 – Stati individuali e stati sovraindividuali

8.3 – Tempo, atemporalità, perpetuità ed Eternità

8.4 – Ascensione, Assunzione, Divinizzazione

 

Appendice – La Resurrezione dei corpi e il mondo intermedio nella tradizione sciita iranica

– Il luogo delle teofanie e delle visioni profetiche

– Dove l’immaginazione diventa corpo

– Il vero senso della “resurrezione del corpo” e la condizione edenica

 

Contributi Bibliografici  

 

Mario Polia, Morte e resurrezione divina: differenze tra mondo mediterraneo, greco-romano e Cristianesimo

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